ADHD e dipendenze comportamentali
Il disturbo da deficit dell’attenzione-iperattività, meglio noto con la sigla ADHD, è stato a lungo sottovalutato negli ambulatori di medicina delle dipendenze, ma è riconosciuto come uno dei principali fattori che promuovono l’uso di sostanze psicoattive.
Come ben noto, si tratta di un disturbo del neurosviluppo che riguarda grosso modo un bambino su 10-20, ed è ancora identificabile dopo l’infanzia in un adulto su 20-40, quindi non troppo raro, anche se questi tassi di prevalenza sono variabili in funzione del sistema nosografico utilizzato e della popolazione di riferimento.
Mentre l’associazione con i disturbi da uso di sostanze psicoattive, legali e illegali, è oramai ben nota, c’è forse meno consapevolezza sull’associazione con le dipendenze comportamentali, anche se i primi studi in merito hanno già più di trent’anni.
A ricordarci di questa importante comorbidità giunge la recente pubblicazione, ad accesso libero, di un gruppo di psichiatri italiani esperti nel trattamento della popolazione adulta affetta da ADHD:
Grassi G, Moradei C, Cecchelli C. Prevalence and clinical phenotypes of adult patients with attention deficit hyperactivity disorder and comorbid behavioral addictions. J Behav Addict. 2024;-1(aop). doi:10.1556/2006.2024.00020
https://doi.org/10.1556/2006.2024.00020
Gli Autori riportano i dati riferiti ad un gruppo di 248 soggetti adulti consecutivi in cui veniva riscontrata una diagnosi di ADHD.
In questi soggetti, oltre ai livelli di impulsività, di sintomatologia ansiosa e depressiva e di compromissione funzionale, veniva rilevata mediante scale autosomministrate la presenza di alcune dipendenze comportamentali, e cioè:
- la dipendenza da Internet (mediante IAT, Internet addiction test);
- la dipendenza da azzardo (mediante SOGS, South Oaks Gambling Screen);
- la dipendenza da cibo (mediante YFAS, Yale Food Addiction Scale);
- la dipendenza da sesso (mediante SAST-R, Sex Addiction Screening Test – Revised);
- la dipendenza da shopping (mediante BSAS, Bergen Shopping Addiction Scale).
Quasi il sessanta per cento dei soggetti studiati risultava in base a questi criteri portatore di una o più dipendenze comportamentali; di questi poco più di metà presentava una sola forma, mentre i restanti associavano due o più forme di dipendenza comportamentale.
La più diffusa risultava quella da Internet, rilevata in circa uno su tre. Dello stesso ordine di grandezza, e solo di poco inferiore, quella da cibo.
In circa uno su cinque si riscontrava dipendenza da shopping, in uno su otto quella da sesso, e in poco più di uno su trenta quella da azzardo.
Analizzando i dati, si vedeva anche come i soggetti con ADHD e dipendenze comportamentali mostrassero alcune differenze clinicamente importanti rispetto a quelli con ADHD senza dipendenze comorbili:
- una maggior frequenza del disturbo da accumulo compulsivo (hoarding disorder) cioè circa uno su tre rispetto a uno su dieci;
- una maggior frequenza di abuso di alcol, cioè circa uno su otto rispetto a uno su venticinque;
- sintomi ADHD, impulsività, sintomi d’ansia e depressivi più gravi, e maggiore compromissione funzionale.
Questo studio è interessante per almeno due motivi:
- perché prende in considerazione alcune dipendenze meno investigate, come quelle da Internet, sesso e shopping, oltre a quelle più studiate da azzardo e da cibo;
- perché gli elevati tassi di comorbilità dovrebbero spingere a ricercare attivamente la presenza di varie dipendenze comportamentali nei soggetti adulti con ADHD, e viceversa la presenza di ADHD nei soggetti presi in carico per una o più dipendenze comportamentali.
Gli Autori riconoscono come limiti dello studio i criteri diagnostici basati solo su singole scale psicometriche autosomministrate, che rende i loro risultati dipendenti dagli strumenti scelti, e le caratteristiche della popolazione afferente al loro centro, in genere caratterizzata da un alto livello di istruzione.
Una riflessione: è caratteristica dell’ADHD la iperfocalizzazione sulle attività che il soggetto trova coinvolgenti, con una certa difficoltà a spostare la sua attenzione alle altre meno gratificanti. È possibile immaginare che il forte assorbimento in un’attività gradita, e la dipendenza da essa, siano gli estremi di un continuum. In effetti, perlomeno in riferimento all’uso di Internet, l’iperfocalizzazione sembra mediare il passaggio da uso a dipendenza (Ishii S et al. Front Psychiatry. 2023 Mar 16;14:1127777. doi: 10.3389/fpsyt.2023.1127777). Al tempo stesso, l’iperfocalizzazione può essere funzionale nella persona con ADHD e – entro certi limiti – contribuire al suo successo nel lavoro, nello studio o in campo creativo, ed al suo benessere psichico. Sarà quindi affidato alla saggezza del terapeuta trovare il punto in cui questa inizia a diventare disfunzionale e a produrre una dipendenza, esplorando la motivazione del paziente per un possibile trattamento.