Il temporale

Avrei voluto dirtelo.
Lo aveva pensato veramente, moltissime volte, ma ogni occasione sembrava la meno appropriata. Il momento buono non arrivava mai, nemmeno quando la disperazione si faceva sentire nella gola, stringendo fino a far perdere il fiato.
Era una famiglia normale, lo avrebbero detto tutti. Senza intoppi, senza curve in salita e nemmeno discese vertiginose. Un figlio all’università, Mario il padre con una carriera in banca e la madre Giorgia insegnate elementare, ora casalinga in pensione anticipata.
Un nucleo riservato, semplice dai colori leggeri. Si erano conosciuti sul piazzale antistante alle scuole, due edifici gemelli uno difronte all’altro, così da potersi salutare con un bacio al volo tra una lezione e l’altra. Agli occhi degli altri apparivano come se avessero la strada già spianata per vivere una vita insieme. Erano belli, sereni, senza grilli per la testa, già maturi ancora adolescenti.
Giorgia era da tempo che lo vedeva affaticato, in effetti Mario era sempre in affanno. La crisi economica e le successive fusioni delle banche avevano messo a dura prova la sua serenità, il tran tran era cambiato in un caos quotidiano. Gli orari erano sballati ogni giorno e le urgenze sempre dietro l’angolo. Descriveva il suo lavoro come fosse un campo di guerra, logorante, senza vedere mai la fine.
A pensarci bene, questo lasso di tempo che il marito era sotto stress iniziava ad essere troppo lungo.
Anche se non voleva, il pensiero che Mario avesse un’altra le saltava spesso in testa. Era un pensiero circolare, tornava sempre nello stesso modo in particolare di notte, poi durante il giorno riusciva a metterlo in borsa evitando di pensarci. Ormai aveva trovato una giustificazione ad ogni sua mancanza. Anche quando la notte tornava con gli abiti che puzzavano di fumo, proprio a lui che non lo sopportava, anche quando non rispondeva per ore al cellulare, anche quando si dimenticava che lo stava aspettando per uscire a cena e lui non arrivava. Si sforzava di comprenderlo.
Erano finiti i viaggi, le serate con amici, la pizza, lo shopping il sabato mattina, le notti abbracciati dopo aver fatto l’amore a parlare del futuro. Lentamente si era appiattito tutto.
Mario sembrava che avesse spostato il baricentro, fuori dalla famiglia e dalla coppia, da un’altra parte, dove trovava ristoro e soddisfazione.
In certi momenti diventava “affamato”, una fame fortissima ma di breve durata. Se prendeva un aperitivo ne voleva subito un altro, come la pasta, un bicchiere d’acqua, il caffè. Ma anche quando raramente facevano l’amore la sera, di notte si risvegliava e voleva ricominciare. Sembrava non provasse soddisfazione, cercava di ripetere senza un senso logico alcuni gesti e certe modalità. Prima di uscire il mattino si lavava i denti due volte, controllava di avere il portafoglio e il cellulare più volte, era diventato quasi maniacale, ripeteva e ritentava come in un gioco per bambini. Anche il suo modo di respirare era diventato diverso, inspirava come se avesse fame d’aria, respiri lunghi continui, come se non avesse abbastanza ossigeno.
Era arrivata al punto di pensare che Mario avesse perso le certezze, quelle che hai dentro fin da giovane e ti tieni stretto, sicurezze e convinzioni che ti sostengono e ti appagano.
Quando ne parlava, lui sorrideva, diceva che l’età e lo stress erano la sua malattia. Certamente Giorgia non si tranquillizzava, ma era convinta di conoscere bene il suo uomo e con il tempo anche la tensione si sarebbe dissolta, era solo un brutto momento.
Sono speciali le mattine d’autunno, la luce meno brillante rende più intimi e la temperatura mite rinvigorisce il metabolismo. Giorgia amava questa stagione, si era innamorata di suo marito, aveva piacevolmente scoperto di essere incinta, avevano firmato il rogito della nuova casa. Un periodo particolare dove le sembrava succedessero sempre le cose più belle.
Malgrado il cielo sereno, quella mattina dai monti arrivavano dei tuoni, un temporale fuori stagione premeva verso la pianura. I forti boati e la leggera brezza fresca mista a pioggia rimbalzavano sulla tettoia davanti al giardino.
Giorgia alzò gli occhi verso la nuvola nera fluttuante e mescolata continuamente dal vento. Pensò a quella canzone che non ricordava il titolo, “il temporale portava novità, se arrivava fuori stagione non prometteva nulla di buono”. Sorrise dei suoi pensieri, ma senza troppa convinzione.
Il maltempo passò rapidamente, i nuvoloni transitavano veloci spostati dal vento fresco.
Giorgia si rese conto che mancava la corrente, gli elettrodomestici erano muti, nessuna lampadina funzionava.
Il temporale non poteva aver fatto danni importanti alle centraline dell’energia elettrica, visto che era passato in un baleno e così rimase in attesa del ritorno alla normalità. Aspettava la ricomparsa della luce senza troppi pensieri. Visto il prolungarsi cambiò il programma della mattina, niente aspirapolvere, niente arrosto in forno, niente doccia calda. Rimaneva solo la spesa da fare.
Non aveva mai pensato a metodi di cottura alternativi, pensò al freezer pieno, al disagio di rimanere senza corrente, a cosa sarebbe il mondo senza energia. Che bel casino le venne da dire.
Una catastrofe lo disse con le labbra serrate facendo retromarcia sul vialetto difronte a casa. Basta telefono, niente trasporti, rifornimenti di alimentari e benzina ridotti a nulla.
Un temporale non può causare un tale disastro sorridendo pensò un’alternativa all’arrosto respirando a fondo l’aria fresca, era morbida nelle narici, leggera tra i capelli e frizzante sulla pelle. Era tornata in armonia, i pensieri erano tornati in equilibrio e le considerazioni sul meteo impazzito lasciate sul vialetto di fronte casa.
Sicuramente al ritorno tutto sarebbe tornato come prima.
Rincasando Giorgia aveva dimenticato il guasto elettrico, ma il cancello automatico che non si apriva la riportò alla realtà. I vicini di casa confermavano che dà loro funzionava tutto a meraviglia e non avevano avuto interruzioni dell’energia.
Indispettita iniziò a telefonare all’ufficio guasti dell’azienda che dava le forniture elettriche e dopo aver ascoltato la quinta sinfonia di Beethoven a ripetizione, riuscì finalmente a parlare con una voce straniera, sembrava un’accento dell’est, un po’ metallica. Impiegò pochi minuti per rassicurarla che non risultava nessun guasto, ma il guaio era un altro, non erano state saldate le ultime fatture ed il contatore era stato bloccato.
E’sicuro? mi sembra impossibile, mio marito lavora in banca e non può essersi dimenticato i pagamenti, dovrebbe essere tutto in automatico sospirò scocciata Giorgia. È inammissibile questo errore!!!
Tentò di avvisare subito suo marito ma al telefono rispondeva solo la segreteria, un’altra voce metallica che irritava i nervi. Aspettò qualche minuto per riprovare, senza risultato.
Decise di chiamare in banca, vista l’urgenza.
Riconobbe la voce di Marcello, il collega del marito.
Ciao Marcello, hai una voce inconfondibile. Sono Giorgia…
Anche la tua è inconfondibile, lo disse un po’ sorpreso della chiamata.
Ho bisogno di parlare con Mario, per un errore hanno staccato il gas… che rottura…
Hai sbagliato numero, Mario non lavora più qui, ha cambiato…
Non scherzare dai!
Ci voleva anche il collega fuori di testa per completare la splendida mattinata.
Marcello imbarazzato, racconto a Giorgia che il marito si era licenziato da mesi per lavorare in una finanziaria privata. Ma non lo aveva più sentito ne visto.
Lasciò cadere la comunicazione, non era nemmeno sicura di aver capito bene le frasi confuse che aveva sentito al cellulare.
Posò il telefono sul tavolo della cucina e si lasciò andare sulla sedia Che succede? Cosa cavolo sta capitando? Lo ripeté a voce alta più volte, come per cercare una risposta allo scompiglio, qualche idea che potesse mettere in ordine quello che stava succedendo.
Per un attimo le tornò in mente il temporale.
Rimase immobile su quella sedia finché sentì la chiave nella toppa della porta d’ingresso. Mario era a casa finalmente, avrebbe sistemato ogni cosa che il temporale aveva sconquassato.
Giorgia raccontò tutto di un fiato quello che era successo in mezza giornata, era ancora agitata e cercava risposte e conforto negli occhi di suo marito, che diventavano sempre più gonfi e pieni di sangue.
Lo guardò. Lo guardò più volte. Nei suoi occhi riuscì solo a vedere un disastro.
Avrei voluto dirtelo.
Senza fare pause, Mario aprì la sua bocca per vomitare quello che da tempo stava succedendo.
Aveva iniziato a giocare per scherzo con le slot machine nel bar vicino alla banca e poi si era sentito sempre di più un “professionista”, uno che sapeva il fatto suo, addirittura lo cercavano per essere consigliati. Calcolava, giocava al momento giusto, spesso mancava al lavoro perché le slot avrebbe calato le braghe e avrebbero pagato il conto, eccetera eccetera.
Da grande “professionista” si era fatto incastrare in quel mondo, di ricchezza effimera, fino a rendersi conto di aver sperperato tutto. Si era licenziato per avere il trattamento di fine rapporto convinto che sarebbe arrivato il giorno del suo riscatto, passando le giornate nelle sale da gioco, dove lentamente mattone dopo mattone aveva smantellato anche la casa riducendola ad un’ipoteca.
Non ne aveva mai abbastanza, voleva smettere ma il giorno dopo aveva ancora quella fame incontrollata, doveva giocare, come fosse una questione di vita o di morte.
Avrei voluto dirtelo. Ma ora sono sicuro che in breve tempo mi rimetto in sesto!
Non aveva mai visto Mario parlare in quel modo, sembrava avesse preso qualche eccitante. Non sembrava dispiaciuto di quanto raccontava, ma convinto che sarebbe riuscito a sistemare una catastrofe di questa portata.
Ti prego non dire altro, Giorgia aveva il cervello in apnea, non riusciva a comprendere tutta la baraonda che gli era piovuta addosso, come il temporale di quella mattina. Era stata una botta fortissima, come una porta sbattuta inavvertitamente e violentemente che la fece sobbalzare per rendersi subito conto che quello che esisteva prima si era volatilizzato, la fine senza titoli di coda.
Arrivò il buio, dentro casa e dentro la vita di ognuno di loro.
Mario avrebbe voluto rompere il silenzio, ma capì subito che forse era troppo.
Rimase ferma a guardare fuori, si sentiva soffocare in quel silenzio assordante, prese la borsa e uscì.
Non tornò più in quel buio pesto.
Aveva insistito molto per rivederla, gli ultimi due anni, erano stati segnati da qualche telefonata e alcune lettere, come si usava una volta. Pentimenti e voglia di ricostruire, Giorgia le lettere le leggeva anche dopo giorni controvoglia, intuendo già quanto era impresso sulla carta. Non aveva mai risposto e nelle telefonate ascoltava la sua voce senza dire nulla.
Pensava di non essere pronta, affrontare suo marito dopo due anni le sembrava di incontrare uno sconosciuto, uno che incontri dopo aver chattato per giorni, dove devi arrivare all’appuntamento pronta ad affrontare le più assurde sorprese. I palmi delle mani erano umidi e non riusciva a camminare lentamente, voleva rimanere insensibile per non sentire nulla. Era riuscita a mettere un coperchio, seppur fragile, sul passato, stranamente non aveva sofferto per la lontananza dal marito, la folata rabbiosa che aveva dentro la proteggeva, non gli permetteva di stare male.
Ricominciare da capo a cinquanta anni suonati non era stata una passeggiata, ma tutto sommato Giorgia non si era mai persa d’animo e nemmeno in questi anni era rimasta con le mani in mano difronte al disastro voluto da altri.
Mario la aspettava in un bar di quartiere con il giardino sul retro all’ombra dei gelsi, vecchi come il mondo vista la mole dei tronchi. Intravedeva il campo di bocce sul fondo del giardino senza giocatori e le suonerie delle slot accompagnavano i suoi passi verso la porta sul retro, quella che si affacciava sul giardino. Il suono vincente, quello che fa aumentare l’autostima (come aveva imparato informandosi su internet), arrivava più nitido mescolato ai gridolini di felicità. Sentì un colpo allo stomaco, ma aveva imparato a non farci caso, il pantoprazolo avrebbe fatto effetto.
In fondo il campo di bocce era delimitato da un filare di prugne selvatiche, quelle con le foglie e i frutti rosso scuro, la terra color nocciola senza ciuffi d’erba, arsa dal calpestio degli spettatori delle gare del tardo pomeriggio.
Era seduto all’ombra vicino ad uno dei grossi tronchi. L’arietta leggera e continua avvolse Giorgia, era un’atmosfera diversa da quella pesante della strada. Puntuale si sedette difronte a Marco, nessuno dei due fece un gesto di saluto o di circostanza. Lui rimase incollato alla sedia vintage di strisce di gomma gialla, di quelle che si vedono solo nei vecchi bar.
Le chiavi dell’auto erano appoggiate sul tavolino di metallo verde, sopra ai cerchi lasciati dai fondi dei bicchieri dei clienti precedenti.
Era dimagrito, con gli occhi leggermente arrossati e più affossati. Camicia azzurra nuova, di una misura più grande con le maniche arrotolate in modo disordinato. Giorgia non appoggiò gli occhi su di lui, faceva delle istantanee e le memorizzava senza volontà. Il respiro corto si era normalizzato.
Anche lei si era vestita con un abito nuovo, leggero e rosato, semplice sopra il ginocchio, nessuna collana e nessun bracciale, come piaceva a lei. Tutti e due non volevano mescolare i ricordi e creare malinconie appese ad un abito o ad un accessorio.
Quella mattina appena sveglia si era sentita asettica, senza mordente, incapace di passioni, ma nello stesso tempo coraggiosa per aver accettato l’invito. Non aveva desiderato rivederlo e nemmeno aveva pensato che sarebbe successo in quel modo, un appuntamento nel giardino di un bar. Una situazione che nel loro passato era capitata di rado, visto che non frequentavano bar.
Appena seduta con un ciao appena pronunciato, la ragazzina del bar era già alle sue spalle.
Lui un chinotto.
Lei un vino rosé, puntualizzando ghiacciato.
Non beveva mai a stomaco vuoto, ma le era venuto d’istinto ordinare il calice. Voleva sentire la fragranza del vino per non ricordare gli odori che poteva avere quell’appuntamento. Le era successo spesso, aveva una memoria olfattiva ben sviluppata che le consentiva di memorizzare un odore o un profumo con tutte le caratteristiche fisiche ed emotive che portava con sé. Aveva la sorprendente capacità di rievocare con estrema nitidezza un’esperienza passata attraverso un semplice aroma.
Non avrebbe voluto ricordarlo quel momento, almeno nei particolari, sicuramente avrebbe potuto rievocare la catastrofe alle loro spalle. Aveva imparato a tenere lontane certe emozioni avverse.
Avevo voglia di vederti, Giorgia lo aveva sentito, per un attimo udiva la voce ma non riusciva a capire il significato delle parole. La testa era piena di ovatta. Prese il calice e respirò la brezza alcolica ghiacciata, che la svegliò dal torpore.
Io non ci avevo pensato, quasi mai mi è tornata la voglia di rivederti. A dir la verità non pensavo di venire qui oggi. Lo guardava senza troppa convinzione.
Mario continuò senza badare alle sue parole, forse aveva paura che se ne andasse, lasciandolo solo con il chinotto e il profumo del rosé.
Oggi mi sento un uomo rinato, come ti ho scritto ho fatto un percorso di recupero per la dipendenza da gioco. Mi dicono che ho fatto molti progressi e tra poco potrei iniziare a camminare con le mie gambe.
È stata dura… un’esperienza faticosa… un viaggio dentro di me dirompente e impegnativo. Ma ora sento di essere forte di voler ricominciare e mettere una pietra sul passato.
Giorgia lo ascoltava come fosse davanti ad uno schermo, come se guardasse un film, senza avere la minima impressione che parlasse proprio con lei.
Si guardava i piedi nascosti dentro i sandali di cuoio e risaliva con gli occhi fino alle ginocchia, e poi tornava in basso di nuovo ai piedi, voleva ascoltarlo e forse anche no.
Forse non hai capito perché ho insistito, perché volevo vederti….
Vorrei riprovarci, vorrei che tutto tornasse come prima, vorrei starti vicino come…
Si fermò. Questa volta lo guardò negli occhi, dentro, fino a toccare il sangue che scorreva veloce tra un atrio e il ventricolo e pompato nell’aorta con forza. Era arrivata lì con i suoi occhi seri.
Vorrei… vederti felice, sentirti vicina… sarebbe bello. Penso di avere bisogno di te.
Giorgia pensò alla sua sincerità dirompente, lo sentiva da come parlava, come tanti anni fa.
Pulito, come lo aveva conosciuto ai tempi della scuola.
Non aveva voglia di parlare, anche se poteva essere un’occasione per dire il suo pensiero una volta per tutte. Alle lettere non aveva mai risposto e raramente ai messaggini.
Prese fiato.
Vorrei, vorrei. Si, anch’io vorrei, ma forse volevo… Che casino!
Tirò un lungo respiro, aveva bisogno di ossigeno per mettere in ordine i pensieri.
Per me invece questi due anni sono stati una passeggiata, un paradiso in terra.
Avere cinquant’anni, sentire che tutto va a gonfie vele, sicurezze, un figlio meraviglioso, un marito dove fantasticare insieme il futuro, trovare ogni giorno gratificazioni ed apprezzare la fortuna che mi scorreva nelle mani. Qualcosa di bellissimo.
Poi arriva un temporale.
La catastrofe.
Negavo a me stessa che potessi avere un’altra donna, ma questo lo pensavo tutti i giorni, negavo che la nostra storia d’amore fosse finita, giustificavo tutto quello che facevi. Ti cercavo ma eri come sabbia in un pugno. E tu mi dicevi che il lavoro ti faceva impazzire, che presto le cose sarebbero cambiate, che tutto sarebbe tornato come prima. Mi tranquillizzavo per qualche giorno e poi di nuovo lì con quel chiodo in testa.
Forse quel temporale lo stavo aspettando, lo desideravo ma non lo sapevo. Avevo bisogno della verità ma la paura copriva tutto… del resto quella era tutta la mia vita, avevo solo quella.
E come alla fine di ogni tempesta poi bisogna sistemare i danni. Come fanno gli agricoltori che devono salvare il salvabile per non buttare tutto il raccolto dopo la bufera.
In questi due anni ho dovuto riemergere, gli strati di asfalto che mi avevi ripassato sopra erano duri e massicci e ti assicuro erano molti.
Sono convinta che il tuo sia stato un tradimento, magnifico ed importante. Hai lacerato la vita di chi aveva scelto di starti accanto e sono convinta che nei momenti di lucidità pensavi a tuo figlio e a me, ma come fanno i drogati ti anestetizzavi di emozioni vigorose, per non affrontare la verità. Tu lo sapevi che la discesa che avevi imboccato era sempre più ripida. Chi? Se non io avrei potuto capirti e starti vicino. Invece hai voluto andare fino in fondo catramando ogni sentimento.
Quando hai venduto tutto forse meritavo di essere messa al corrente di essere partecipe della melma in cui avevi deciso di nuotare.
Hai lasciato che tutto crollasse per farmi vedere solo le macerie, solo quelle. Non penso di aver meritato questo. La parola macerie aveva voluto rimarcarla con l’amarezza e il bruciore che le saliva dallo stomaco.
E oggi hai voluto vedermi per dirmi che vorresti… vorresti cosa?
Essere perdonato? Trovarmi sola e spaurita con le braccia aperte ad aspettarti?
Ci ho messo due anni per perdonare me stessa, di non essere riuscita a vedere oltre il mio naso, di non essermi fidata di quello che sentivo.
Ci ho messo due anni per risentirmi donna, apprezzarmi per sentire veramente quello che voglio e non permettere a nessuno di trattarmi come uno stuoino ormai liso.
Portò il calice di vino sotto il naso e respirò profondamente la fragranza.
Lui la guardava, dall’espressione stupita sembrava non capire quello che stava sentendo.
Due anni per uscire dalle macerie di quel temporale e capire che valevo meno di una slot-machine, di un tastino rosso giallo e verde che faceva girare le rotelle per riempirti di adrenalina e colmarti di gioia, sentendo le monetine cadere davanti al tuo pacco.
Lui cercò di intervenire, ma con la mano tesa Giorgia gli fece capire che non era il caso.
Guarda, oggi che conosco bene quella che era la tua dipendenza, o forse sei ancora nella fogna, ma questo non lo posso sapere e forse non mi interessa, oggi se non ti dispiace parliamo di me anche se mi sembra di aver già detto tutto!
No! non ci sarà nessun futuro, non ci sarà un domani, il nulla. Ora ho bisogno di altro e sicuramente non accanto a te.
È finita! quel temporale ha spazzato tutto, non è rimasto nemmeno un bel ricordo, un sorriso, un abbraccio.
Nulla lo disse con rabbia, come se questa parola la mescolasse tra i denti da molto tempo, un qualcosa che dovesse uscire per forza.
Hai stritolato tutto, lasciando solo macerie e sotto quelle il niente.
E ora vorresti?
Mario non aveva mai visto la moglie così tenace, cruda e determinata.
Per me non esisti più. Finché lo diceva si alzò lentamente liberando il vestito incastrato tra le corde di gomma della sedia vintage.
Lui rimase seduto davanti al suo chinotto e al bicchiere di vino rosé ancora pieno.
Dal bar arrivò nuovamente lo scampanellio di una vittoria alle slot e le solite grida di gioia.
Lui, in modo automatico, si voltò guardando da dove proveniva il suono della vincita.
Quando tornò nuovamente con lo sguardo sul tavolino verde lei era già sparita.
Giorgia si sentì leggera, pulita. Pagò il suo calice, intanto che le monetine continuavano a scendere nel cassetto della slot, producendo un rumore fastidioso mescolato alla felicità del fortunato vincitore.
Si ricordò di una donna che diceva Nel grande gioco della vita vince chi non perde il cuore, lo ripeté sottovoce camminando verso casa.
Avrei voluto dirtelo, ora gioco io.
Scritto da Gianluigi Formaggioni