Primavera alcolica

Il problema non è quando assaggi e non ti piace,
ma quando assaggi e non ti basta (Guido Fruscoloni scrittore)
Steve sentiva quella sensazione che devono provare i condannati alla fucilazione, quella particolare sensazione di non aver più scampo, gli ultimi minuti prima di morire, udire i soldati caricare i loro fucili, ecco, i proiettili sono in canna, fuoco ! Era questo negli ultimi tempi l’incubo peggiore di Steve, quello che lo faceva destare nel cuore della notte con le tempie martellanti, pieno di sudori freddi e con il cuore colmo di angoscia! Un rivolo di sudore gelato gli corse giù lungo la schiena, un brivido che lo distolse dai suoi pensieri, un brivido freddo che termina dove inizia la colonna vertebrale in zona sacro lombare, il solito dolore ai reni fin troppo familiare per Steve, un appuntamento quasi quotidiano questo e che andava avanti da un po’ di tempo, purtroppo. Sì, dopo un periodo in cui le cose sembravano andare meglio e stava per ritornare la tranquillità di una vita normale, con i suoi alti e bassi, certo, ma entro dei canoni di calma e serenità propri di coloro che appunto conducono un’esistenza che potremmo definire sana. Invece per Steve i fatti erano precipitati negli ultimi tempi, erano mesi che Steve provava sensazioni che lo rendevano irrequieto, che minacciavano quotidianamente la sua vita, quei pensieri oscuri e subdoli che a volte si insidiavano nel suo cervello dove allignavano insieme ad altri oscuri ricordi, vissuti che talvolta riaffioravano prendendo il sopravvento, puntualmente, come una cambiale in scadenza. Erano sensazioni queste che Steve cercava di scacciare come la peste con ogni mezzo avesse a sua disposizione, lecito o meno lecito che fosse. Dentro il novero di questi mezzi rientrava anche l’uso di sostanze come alcol o droghe varie fossero esse eroina, cocaina o quant’altro le circostanze ed i suoi mezzi economici gli mettessero a disposizione. Questo insieme di cattive abitudini aveva ahimè caratterizzato gran parte della sua esistenza, escludendo solo i primi dieci o quindici anni della sua vita. Una quarantina di anni, anno più o anno meno, viziosamente consumati in un pericoloso e diabolico cortocircuito esistenziale. Un cortocircuito doppiamente dannoso per Steve poiché rappresentava non soltanto un esperienza insana, “tossica” appunto, ma anche perché diventava una vera e propria schiavitù, una maledetta schiavitù odiatissima da chiunque ma soprattutto detestata ai massimi livelli dal nostro, che la considerava a ragione, la negazione totale della libertà, di tutte le libertà possibili della sua esistenza, una schiavitù talmente autodistruttiva e così ben radicata ormai, ahimè, nella sua vita, da condizionargli gran parte dei suoi modi di pensare e di agire nel passato, nel presente, e soprattutto, se non avesse trovato rapidamente e miracolosamente un drastico rimedio, inevitabilmente, anche nel futuro !
Questo frullava nel cervello del nostro protagonista mentre era sul treno che lo stava riconducendo a casa da Pasero a Nimiri dove appunto Steve era nato e cresciuto una cinquantina di anni or sono…adesso era di ritorno nella sua città d’origine possiamo dire, in un pomeriggio di fine inverno inizi primavera…un triste pomeriggio di marzo di qualche anno fa, appunto. Nella sua testa cercava di prefigurarsi che cosa avrebbe detto ai suoi cari ed anziani genitori e fratelli una volta rientrato a casa sua. Casa sua poi…per modo di dire, sì, daccordo, era la casa dove era cresciuto fin quasi dalla sua nascita, fin da bambino, assieme ai suoi genitori e fratellini, ma negli ultimi tempi, possiamo dire negli ultimi anni, soprattutto a causa degli usi ed abusi delle sostanze poc’anzi menzionate e, soprattutto dal comportamento causato dall’uso o per meglio dire dall’abuso di tali sostanze, quella casa non la sentivo più proprio come la “mia casa”come prima, e nemmeno con i miei non mi sentivo più proprio a mio agio…sì sì dico “sentivo” e dico la “mia” casa, non avete sbagliato, Steve sono io, sono io che sto tornando a casa mia aNimiri da Pasero dove ho risieduto e lavorato per circa un anno presso la fondazione Crannoon snc. Cito brevemente il periodo iniziale di questo anno nella fondazione di Mister Crannoon, il quale è, o per meglio dire era, in quanto il fondatore, il geniale e lungimirante John Crannoon è appunto passato a miglior vita alcuni anni fa, tramandando i principi fondanti della ditta nelle mani dei suoi diretti successori, i quali si fanno carico di portare avanti la mission della fondazione che è basata su uno strano mix composto da rigidi principi etici e morali che fanno da complemento ad una filosofia di marketing aziendale basato sulle classiche regole del profitto e dell’efficienza più assolute. Un originale e strano mix, dicevo, che comunque, da i suoi risultati, che ora non è né mia competenza né mio interesse andare a descrivere né tanto meno giudicare, punto! Per farla breve la fondazione si occupa di aiutare appunto persone disagiate con problemi di dipendenza da sostanze o altro, a riprendere in mano la propria vita, dopodiché alcune di queste persone, come il sottoscritto, hanno la possibilità di entrare a far parte della ditta con mansioni operative di vari livelli. L’organigramma aziendale è gerarchico piramidale, e attraverso un preciso piano di formazione costituito essenzialmente su stages multilivello, si può arrivare agli alti piani dirigenziali. Il percorso, senza entrare nei particolari, è comunque impegnativo, sia a livello di disponibilità personale, leggi tempo, nonché economica, leggi soldi. La mia decisione di rimanere a far parte attiva nella fondazione è stata dettata dal fatto che mi è stato proposto un buon posto nell’ambito formativo, un posto a me piuttosto congeniale. Un altra particolarità della fondazione è che tutti i soci lavoratori hanno la possibilità di rimanere in ditta 24 ore su 24, vitto ed alloggio compresi, di contro la paga settimanale è, abbastanza invariabilmente, scarsa, per non dire esigua, leggi ridicola; come del resto il livello del vitto e dell’alloggio, molto spartani e non voglio aggiungere altro. A questo punto ci si potrebbe chiedere, dopo questa impietosa descrizione dell’infimo livello retributivo e delle condizioni del vitto e dell’alloggio nonché della quasi assenza di privacy personale e della totale mancanza di tempo libero quotidiano, che cosa non mi abbia impedito di scappare il più lontano possibile dalla fondazione. Ci sono giorni che me lo chiedo ancora ma fondamentalmente la risposta è la più ovvia: stavo attaccato alla cosa che mi aveva salvato la vita e che, strano a dirsi ma mi aiutava a stare il più lontano possibile dai guai, leggi lontano dall’alcol e dalle droghe, almeno questo all’inizio era ciò che mi sembrava plausibile. Certo, la paura è segno di intelligenza, almeno è quello che si dice, di sicuro c’è che la paura di ricadere nell’abuso di sostanze mi teneva attaccato alla fondazione, dove ero protetto da eventuali ricadute, dalle sue ferree regole in materia. Ma quanto può durare la paura? E perché, anni addietro, la paura non riuscì a tenermi lontano dai guai? Per spiegarlo bisogna andare a scandagliare il mio vissuto precedente. Quando mi avvicinai alla fondazione io avevo alle spalle già un percorso comunitario completo, finito però con il rivelarsi una pura e pia illusione, in quanto dopo ben quattro anni in una grande struttura comunitaria, forse la più grande del mondo che tra l’altro avevo a disposizione poco lontano da casa, chi ha dimestichezza con questa materia avrà certo capito qual’ è questa comunità chiamata in gergo anche “la collina”. Poco è valso, dicevo, il lungo e pesante programma di recupero in struttura comunitaria, se è vero che non è riuscito se non per pochi mesi, a tenermi lontano dall’abuso, anzi direi dal poli-abuso di sostanze quali eroina in primis, accompagnata da alcol, cocaina, e successivamente, negli ultimi anni, anche alternativamente da metadone e buprenorfina fornitemi come terapia sostitutiva dal servizio sanitario nazionale, SERT, del mio comune di residenza. Avevo raggiunto l’apice della mia carriera di tossicodipendente, avevo fatto il pieno, Bingo con Jackpot! Ricapitolando, dopo aver sofferto per anni dietro ad una vita fatta di dipendenze, privazioni varie, sofferenze affettive di ogni tipo, da quelle con le mie scarse ed occasionali ragazze che mollavano i rapporti nei miei confronti molto velocemente, scappavano via, come del resto pure i miei amici di vecchia data, che, idem, si dileguavano, mi evitavano, come anche tra l’altro i parenti vari, genitori, fratelli, cugine, zii eccetera, dopo tutto questo, dicevo, non avevo perso la voglia di trasgredire le regole, di abusare di sostanze, nonostante avessi pure intrapreso un duro e faticoso programma di recupero durato ben quattro anni! Dopo queste forti e costanti sofferenze e fallimenti altrettanto duri, anni di patimenti di ogni natura e, fondamentalmente di dolore, è normale che, adesso invece, rimessomi nuovamente e faticosamente in sesto sia fisicamente che mentalmente, fossi finalmente soddisfatto di me stesso, ero riuscito a ripartire, avevo nuovi amici con i quali condividere qualcosa che non fosse una cosa da bere o da fumare o peggio, in più riuscivo a dare a me stesso, ai miei genitori ed amici, l’idea che stessi ripartendo e fossi pure indipendente economicamente anche se queste ultime cose erano piuttosto aleatorie che reali.
Purtroppo, con il passare del tempo, quest’idea che fossi arrivato ad una meta ideale, cosa a cui mi aggrappavo più per una mia necessità, per autoconvincimento, orgoglio o simili, piuttosto che perché fosse realmente così, venne sempre più affievolendosi. In realtà non ero pienamente soddisfatto di me stesso e del mio posto nella fondazione, senza parlare delle frustrazioni quotidiane sempre più frequenti, insomma il paradiso stava per mostrare le sue crepe. Del lavoro che svolgevo dico solo che per me era solo un ripiego, mi sentivo quasi un cretino nonostante i miei superiori cercassero di farmi sentire un genio, forse per illudermi che quello che facevo fosse fantastico. Penso che mi adulassero affinché io mi accontentassi della squallida vita fatta di lavoro e di quello che loro intendevano come “studio, che doveva essere nelle loro intenzioni una grande opportunità di crescita personale; ma che per me invece altro non era che una specie di “lavaggio del cervello” affinché io interiorizzassi sempre più a fondo le idee di base della fondazione che altro non erano che uno strumento per far sì che le persone diventassero delle pedine nelle loro mani e portassero acqua al loro mulino. Insomma più il tempo passava e più cresceva in me il desiderio di evadere da quella che sentivo oramai come una gabbia le cui sbarre erano rappresentate appunto dalle regole stesse della fondazione e che servivano unicamente per far sì che persone come me diventassero strumenti nelle loro mani, strumenti atti unicamente a far sì che la fondazione diventasse sempre più ricca e potente alle spalle di persone che come me si accontentavano di condurre una vita umile e spartana, con pochissimi momenti veramente liberi e per di più priva delle più elementari norme riguardo alla privacy personale; tradotto in soldoni io mi ero accorto che andavo menando una vita squallida, misera, priva di tempo libero e per di più mi sentivo continuamente spiato e controllato dai miei stessi colleghi e superiori, una specie di grande fratello reale da far invidia a quello della televisione. Ricapitolando, vivevo una realtà quotidiana fatta di lavoro, istruzione ed apprendimento delle ferree regole della fondazione, un aspetto questo imprescindibilmente legato al mio lavoro, comunque obbligatorio senza eccezioni di sorta e pure abbastanza pesante dal punto di vista mentale o psicologico che dir si voglia, accontentandomi giocoforza di una misera paga settimanale e per soprammercato inoltre la stessa miserabile paga non era nemmeno garantita né tantomeno costante poiché collegata ai risultati ottenuti dal mio lavoro nella fondazione in quella settimana,insomma, tradotto ancora più in soldoni, ero nella merda più totale ! Ma, dico io, vi sembrano forse questi la maniera e l’ambiente giusti in cui un “cristiano” può vivere una vita dignitosa e trovare qualche gratificazione reale ed appagante che non siano solamente delle chiacchiere ed un altrettanto ciarliero successo sul lavoro?! Quanto potevo ancora pretendere, dato tutto ciò, in termini di resistenza, al “richiamo della foresta”? Richiamo inteso come tentazione di cedere ancora una volta all’abuso di sostanze varie, alcol in primis e tutto il resto a venire. Da qui al bicchiere il passo era brevissimo, se ancora uno c’è ne era, anzi posso dire con tutta onestà che il mio cervello era già “imbottigliato”, era solo questione di trovare di nuovo l’occasione ed il momento giusti. Ed il momento giusto non tardò molto, come si sa, volere è potere, e se il volere è voler bere o drogarsi, la potenza diventa molto forte, smisuratamente forte. Dicevo che il mio tempo libero e la mia privacy in fondazione, quando e se esistevano, erano molto esigui, le poche ore libere che avevo, infatti, erano costituite dal weekend, una giornata scarsa che andava dalla sera del sabato verso l’ora di cena alle prime ore del pomeriggio di domenica, una ventina di ore o poco più che, per di più, avevo anche dovuto strappare a forza di suppliche e menate varie ai miei superiori, che mi suggerivano di “sfruttarle” per studiare e socializzare all’interno della fondazione. Eh sì, anche questa dovevo sentire, dopo tutto quello che dovevo sopportare, questo era proprio il massimo! Beh, lasciando perdere quello che gli risposi e, che, a proposito di “sfruttamento”, ero io quello che si sentiva sfruttato, anzi spremuto come un limone e bla bla bla, io optai per il weekend libero fuori dalla fondazione con tanto di divertimenti vari, musica, balli, discoteche, locali notturni e via dicendo. L’alcol inutile negarlo, era già incluso a priori nei miei programmi, eccome!
Naturalmente i primi weekend sono stati bellissimi, ne ricordo ancora uno in particolare poiché successe un fatto che non potrei dimenticare neppure volendo, ne ora ne mai. Era un sabato di fine inverno, verso sera, non appena finito il mio lavoro in fondazione appena prima di cena, presi il bus che dalla frazione di Pasero dove ero residente, mi doveva portare in centro alla stazione dei treni dove mi aspettava appunto quello per Nimiri dove ero diretto, era una serata umida, piovigginava ed era molto buio, io salgo sul bus ed arrivo alla stazione FS, faccio il biglietto e attendo il treno per Nimiri. Arrivato a destinazione, saranno state le nove di sera circa, il tempo per uno snack in centro, entro in cantinetta ed ordino un bell’hamburger con patatine fritte, il tutto annaffiato da una generosa brocca di birra doppio malto danese. Un paio di ore dopo ed ero di nuovo alla stazione di Nimiri che aspettavo il bus navetta che doveva portarmi al Vetlev Rock Club, il mio locale preferito, insomma, ero in stazione ed erano circa le undici della sera e che cosa dovevano vedere le mie fosche pupille? Mi son visto la Baby, una ragazzetta molto carina ed altrettanto sexy, di diversi anni più giovane di me, che già conoscevo e che mi piaceva non poco, ma che cosa sta succedendo? La Baby è sul marciapiede, a pochi metri da me, nel frattempo arriva una panda chiara guidata da un signore di mezza età, diciamo di una settantina di anni all’incirca, non sono mai stato molto bravo a dare un’età ai depravati, specie se squallidi pedofili come questo, si ferma in prossimità della Baby ed ha tutta l’aria di aver scambiato la mia amica per una di quelle….difatti abbassa il finestrino ed io vedo che scambia qualche battuta con lei. Non ci vedo più dalla rabbia, causata anche dalla birra extrastrong che avevo ingurgitato a proffusione in cantinetta, mi avvicino al pandino e lo abbordo senza tante storie, prima lo aggredisco verbalmente e lo riempio di male parole ed insulti di ogni tipo, poi non contento passo a maniere più convincenti ed inizio a menar pugni e calci sulla fiancata del pandino. Morale della favola l’autista nonché inveterato puttaniere si allontana dalla Baby e sembra sia palesemente dissuaso a ripetere la manovra di arrembaggio, difatti si allontana in fretta senza neanche voltarsi indietro a guardarci, missione compiuta possiamo andare a goderci la nostra serata di ballo, divertimento e naturalmente, bar aperto tutta la notte e stop, punto e basta! Questo è solo l’esempio di una di quelle serate del weekend che mi concedevo io, dopo una sei giorni di lavoro e segregazione quasi totali in fondazione. Settimana dopo settimana, per di più, il lavoro procedeva bene ed io non tardavo a farmi una buona reputazione ed anche la mia paga settimanale cresceva al crescere dei miei successi, sì perché nonostante i miei eccessi, io sul lavoro ci ho sempre messo dedizione ed impegno ed in più la mia buona formazione scolastica mi ha regalato una marcia in più che unita alla mia naturale inclinazione verso la cultura in generale mi ha portato, brevemente a farmi benvolere sia dai miei colleghi e superiori che dai miei chiamiamoli “clienti”, anche se erano più dei “pazienti”, che ricevevano da me un aiuto concreto che li portava a non mollare ed ad andare avanti nel percorso-trattamento, che tra l’altro io avevo intrapreso e portato a temine solamente pochi mesi prima. Comunque più il tempo procedeva, più veniva a delinearsi il vero problema di fondo, che in maniera più o meno conscia, dopotutto, io già sapevo e cioè che durante il fine settimana trincavo come un animale e questo non poteva essere che l’inizio di un nuovo disastro! Insomma, morale della favola, avevo ripreso una delle mie vecchie passioni, l’alcol. Sì l’alcol è sempre stato il sottofondo ideale di qualsiasi impresa o periodo della mia vita, dalle birrette al pub da adolescente, alle “gatte” del sabato sera tra amici del liceo, c’era e c’è sempre stato un buon pretesto per farsi qualche buon bicchiere, che fosse una cena con qualche amico oppure una ricorrenza, un matrimonio, una festa, una gita fuori porta o semplicemente un fine settimana, ogni volta si finiva sempre più o meno bevuti se non proprio ciucchi, ubriachi come Noe! C’è un episodio che fra i tanti spicca ancora nella mia memoria e si può definire come l’archetipo di tutte le mie future bevute, l’episodio madre. Era una sera d’estate dei primi anni 80, avevo tredici anni anni ed ero con i miei genitori a cena a casa di amici in una bellissima villa sulle colline Nimiresi, la cena era all’aperto nel bel parco della villa e c’erano sulla tavola numerose caraffe di un ottimo vino Sangiovese che il padrone di casa, che era anche l’anfitrione della serata, vantava di produrre con l’uva della sua vigna che era solamente a pochi metri da noi. Ebbene, finì che bevvi fino allo stordimento ed al rovesciamento di stomaco, non ricordo neppure di aver mangiato, ma che bevvi troppo se ne accorsero tutti quella sera perché riempii con il mio vomito una di quelle brocche, dove prima c’era stato il vino, sotto gli occhi di tutti i presenti. Allora finì tutto con una grossa risata generale, ero solo un ingenuo ragazzino che non tiene troppo bene il vino, stop. Forse quella sera i miei provarono un po’ di imbarazzo, ricordo che mia madre mi sgridò spazientita, ma tutto si risolse subito ed in fretta, e questo uno dei lati positivi dell’alcol no? Si trova dappertutto, con estrema facilità e con la stessa facilità il suo uso ed anche l’abuso è perdonato, tollerato, sdoganato. Mica è infilarsi un ago nelle vene o tirare della polvere su nelle narici, no?! Un buon bicchiere è sempre disponibile e ben accetto ovunque e dovunque, fa allegria, fiesta, su col morale, in alto i calici e stop!
All’interno della vita in fondazione, comunque, vigeva e vige tuttora il divieto più assoluto di consumare alcun tipo di sostanza psicoattiva ivi compreso naturalmente l’alcol etilico in tutte le sue forme e nel caso di un suo consumo bisogna osservare un periodo di astinenza di circa mezza giornata, una dozzina di ore minimo in cui non si può stare all’interno del gruppo. Va da se che visto il mio andazzo e soprattutto sentite le pesanti esalazioni del mio alito al rientro dei miei fine settimana alternativi, mi trovai ben presto al centro di polemiche e giudizi che ebbero come conseguenza materiale una mia messa in “quarantena alcolica” al mio rientro domenicale, tradotto in parole correnti, mi trovai presto costretto a passare la nottata fino al lunedì mattina fuori dalla fondazione, in un qualche albergo nei dintorni. Ero sempre più alle strette e costretto a fare i conti con la mia antica passione ed i conti erano i conti dei vari Hotel della riviera che seppure in bassa stagione, per le mie finanze erano pur sempre piuttosto alti. Oltre al danno economico comunque, che una volta passato si dimentica facilmente come tutte le cose meramente materiali, quello che resta più vivo nella mia memoria è il senso di vuoto, di tristezza e di solitudine che provavo durante quelle permanenze forzate in quelle anonime stanze di albergo, soprattutto quel nodo alla bocca dello stomaco sottosopra che avvertivo al mio risveglio nelle lunghe albe dei vari lunedì mattina dove per compagnia non avevo altro che un povero e triste televisore che tenevo sempre acceso per riempire il mio silenzioso vuoto interiore, povero e triste come me, dopotutto. Ecco questo senso di vuoto e di solitudine ed il malessere mentale interiore unito a quello fisico, delle mie viscere, del mio povero stomaco sottosopra, del mio fegato e dei miei reni messi a dura prova, sono le cose più vive nella mia memoria, sofferenze legate alla mente ed al corpo e per questo più difficili da dimenticare del resto, e che sono riconducibili direttamente ai miei weekend ad alto tasso alcolico, punto! La mia nave iniziava a vacillare, sempre più alto il prezzo per restare a galla dopo i miei fine settimana e per fortuna che avevo ancora la scialuppa di salvataggio che era costituita dall’intera settimana di astinenza, sei giorni di lavoro in fondazione; beh almeno il mio sacrificio aveva uno scopo nobile ed utile, era il salvagente contro uno dei nemici più subdoli di tutti, l’alcol appunto. Il più subdolo proprio perché legale, lo si può trovare ovunque ed è accettato socialmente dalla maggior parte della popolazione mondiale, anzi paradossalmente in determinati contesti e luoghi, rifiutare un “cicchettino” è considerata un offesa personale, una mancanza di fiducia o peggio. Almeno è quello che mi ha riferito un conoscente che, per lavoro si trova spesso a dover viaggiare nei diversi paesi dell’Europa dell’Est, dove la fine di un contratto commerciale viene suggellata dal “bicchiere della staffa” che di solito è costituito da un robusto sorso di Slivovitz, una grappa agricola ad alta gradazione, ottenuta dalla distillazione di prugne, spesso autoprodotta e molto in voga in tutto l’Est Europa. Dico tutto ciò per ribadire il concetto che l’alcol è largamente accettato, se non addirittura promulgato, in gran parte della popolazione europea e non solo!
Tornando al dunque, tutto questo non poteva continuare ancora per molto tempo, il mio stile di vita durante i weekend veniva sempre meno tollerato in fondazione e d’altronde non era altro che lo specchio della mia insoddisfazione di fondo a proseguire su una strada nella quale ero io il primo a non credere neanche più. L’elastico stava per rompersi e si ruppe molto presto. Verso la fine di marzo, infatti, decisi di giocare la mia partita fino in fondo, complice forse la mitezza dell’aria che annunciava la primavera in tutto il suo rigoglioso preludio alla nuova vita della natura, rientro da un mio fine settimana più ebbro del solito e mi dirigo verso gli uffici della fondazione con il deciso proposito di far sentire le mie ragioni più o meno a tutti, l’alcol che mi scorreva ancora nelle vene mi dava difatti un coraggio ed una forza notevoli così notevoli da non farmi neppur render conto che così facendo ero io che rischiavo di passare dalla parte del torto e avrei molto difficilmente fatto valere le mie ragioni che pure avevo, in quello stato di palese delirio etilico. Questo è uno degli aspetti della sostanza più pericolosi e subdoli, ti fa credere di essere forte e nel giusto anche quando così proprio non è, l’alcol è forse la sostanza che esalta maggiormente il lato più violento dell’essere umano, forse più della cocaina e al pari di quest’ultima è in grado di dare l’illusione di essere schietti e sinceri quando invece si è soltanto alterati ed in preda alla sostanza stessa, in pratica storditi se non ubriachi fradici!!! Altro che “in vino veritas” di latina memoria, certo, un po’ di vino non fa male a nessuno ed un goccetto misurato al momento giusto può perfino aumentare la sinapsi, il contatto tra le cellule neuronali, ma solamente in persone normali non dedite ad un abuso alcolico e dotate di un equilibrio stabile, tradotto in parole povere: non funziona per gli ubriaconi, semi alcolizzati se non alcolizzati del tutto come il sottoscritto. Riguardo al sottoscritto, certo l’alcol non mi avrà aiutato a far valere le mie ragioni come forse mi ero illuso, ma mi ha comunque fatto risparmiare del tempo, ha infatti fatto da catalizzatore nella reazione chimica che è esplosa nel mio cervello con il chiaro scopo di andarmene dalla fondazione, mandare tutti a quel paese, farmi cacciare più o meno ignominiosamente, abbandonare la galera e i suoi aguzzini! In un certo senso in questo devo riconoscere una certa veritas di fondo, io non stavo più bene in fondazione, facevo un lavoro in cui non credevo e dopotutto mi sentivo un povero sfigato, ed ecco che tutto ad un tratto mi ribello a questo stato di cose e me ne libero, stop, punto e a capo, sono libero, almeno dalla Crannoon snc!
Ecco che sono al punto in cui, sul treno che mi stava portando a casa mia a Nimiri, un triste seppur caldo ed assolato pomeriggio di inizio primavera, invece che essere felice come una pasqua per essermi liberato dal giogo opprimente della fondazione e da tutti i suoi numerosi obblighi, vincoli, doveri e chi più ne ha più ne metta, sono in una paranoia pazzesca per via di tutti i miei dubbi ed i miei pensieri più subdoli e desolati, che, come dicevo, allignano nel mio cervello e mi assalgono ogni qualvolta mi sento in pericolo di ricadere nel gorgo dei miei eccessi, dei miei abusi etilici, nella schiavitù correlata all’abuso delle sostanze tossiche, siano esse alcol o droghe varie poco cambia essenzialmente! Ed ogni volta è peggio, questo lo sanno bene tutti coloro che hanno sperimentato sulla loro pelle questo dramma. Io per esempio non riesco a non pensare alla primavera di qualche anno fa, in cui mi sono appunto scontrato ed ho dovuto fare i conti con il rischio di perdere totalmente la mia libertà cadendo nell’alcolismo cronico più crudo e pesante. Sì perché come esistono innumerevoli livelli di approccio personale verso il pianeta alcol, per cui esagerando forse un po’ potrei arrivare a dire che ognuno di noi ha un suo approccio che differisce da quello di un’ altro, anche se poi i risultati finali sono molto simili tra loro; esistono anche numerosi gradi di dipendenza verso questa sostanza tossica, gradi che arrivano ad avere effetti molto pesanti e deleteri se non addirittura fatali! Più di una volta mi sono raccontato di non avere problemi con l’alcol per poi ritrovarmi bottiglie nascoste sotto il letto o dentro l’armadio a cui ricorrere nei momenti di crisi.
Purtroppo io un paio di anni or sono, appunto nel periodo primaverile, doveva essere aprile perché ho come riferimento la pasqua che cadeva in quel mese, ho sperimentato personalmente questi pesanti effetti su di me ed il ricordo di essi ed il pericolo insito in ciò che ho provato, mi fanno ancora molta paura. Posso dire che quello che ho provato durante alcune settimane di vita per strada a Varenna, due anni fa, è ancora piuttosto vivo dentro di me tanto da influenzare, ancora adesso le mie scelte e la mia paura nei riguardi dell’alcol. Per la cronaca, il mio soggiorno a Varenna non è stato un evento pianificato a priori ma mi ci sono ritrovato per una serie di circostanze casuali. Avevo accompagnato una mia amica di merende in treno e ci eravamo prefissati un weekend di divertimento e qualche eccesso alcolico ed altro, ebbene andò che poi la mia amica dopo una serata di sballi vari, pagati dal sottoscritto il quale aveva ancora una discreta somma sul bancomat non grossa ma che sarebbe bastata per altri giorni di bagordi e gozzoviglie varie. Dunque la mia amica mi pianta per andare con una sua vecchia conoscenza. Io non ci rimango troppo bene e inizio a vagare per le vie e le numerose piazze di Varenna, che tra l’altro è una bella città ricca di suggestivi monumenti storici nonché meta turistica. Ebbene in men che non si dica, merito anche della mia grande dote di socializzatore empatico, dicevo, in poco tempo vengo a far conoscenza con i numerosi vagabondi, barboni e disadattati di ogni tipo accomunati tutti da un problematico vizio di findo, erano tutti chi più chi meno, ma vi assicuro che erano molto di più i “chi più”, insomma raccolgo un discreto esempio di fauna suburbana, miseri esseri invisibili, persone alla deriva chi da mesi chi da anni, anche molti anni, i nuovi “paria” delle nostre città, gli ultimi degli ultimi, ultimi perfino nei confronti dei tossici di eroina o cocaina che paragonati a loro si possono definire se non proprio integrati almeno classificati e codificati entro certi parametri; merito anche dei Sert e delle comunità di recupero. Invece le persone che ho incontrato io erano tutti personaggi che sfuggivano qualsiasi “aiuto”, che fossero i centri per l’alcol che pure son ben presenti, al pari e a fianco dei Sert, ed anche le comunità di recupero li accoglierebbero, se solo lo volessero. Il punto è che loro non vogliono, loro vogliono restare alla deriva in uno stato di selvaggia libertà, una volta ho sentito un intellettuale paragonare l’alcolismo ad un “ritorno alle origini”, una nuova età della pietra, presente nel tessuto urbano o per meglio dire suburbano. Ho girato con loro per circa un paio di settimane, non nascondo che vi era in me un senso di profonda pietà ma non una pietà penosa, direi piuttosto una sorta di pietas cattolica, un voler condividere la loro vita quotidiana, i loro dolori, le loro profonde sofferenze. Unitamente a ciò, c’era anche un certo livello di curiosità insito nel mio carattere, nella mia persona, curiosità verso tutte le forme di aggregazione umana e che forse è stata alla base del mio scegliere la laurea in sociologia. Ho conosciuto Mimmo che veniva dalla Romania, un contadino sulla quarantina scappato dal suo paese non so per quale motivo, c’era Silvano dalla provincia di Demona che aveva persino un osteria con annessa locanda in un ridente paesino sul fiume Rapano, gestita assieme alla moglie, fino a che la sua passione prima per i night club poi per il bicchiere, non lo ha portato a divenire asociale e violento, con tutti gli annessi ed i connessi. I primi tempi mi seguivano poiché io, con il mio bancomat, rappresentavo per loro uno strano babbo natale in quanto non gli facevo mai mancare alla bisogna gli spiccioli per i loro vini da pochi centesimi, vini in cartone che poi bevvi anch’io quando i soldi sul mio bancomat finirono. Nulla è eterno. Comunque il mio stato di condivisione con questi “paria” delle nostre città fu totale, ed ancora oggi mi emoziono a ripensare a quel tal personaggio o a quell’altro. Tutte persone cariche dei loro vissuti personali, anche molto differenti tra loro per cultura, estrazione sociale, professione e via dicendo, precedenti. C’era chi era estremamente permaloso e bisognava prenderlo con i guanti, chi diventava violento ed era meglio evitarlo soprattutto in certi orari, eccetera. Ho condiviso guai e sofferenze varie, il dolore di fondo che bene o male accomuna ognuno di loro, un cupo dolore di accettazione della sofferenza quasi mistico, forse un modo per espiare i propri peccati terreni in attesa di qualche cosa di meglio nel Regno dei Cieli, chissà. In fondo, un cantante che seguivo da ragazzo e ce adesso è chiamato il Komandante, una volta disse che l’esperienza della tossicodipendenza è quella che più si avvicina all’esperienza mistico religiosa, l’accettazione paziente del dolore, della sofferenza, chi meglio di un drogato può capirla? Un Santo forse! Ho condiviso anche il dormire in luoghi che definire luridi è un puro eufemismo, mangiato cose che non proporrei ad un amico, conosciuto tutte le mense dei frati e della Caritas della città. Bevuto innumerevoli cartoni di infimo vino, perfino il giorno della santa pasqua l’ho passato in giro con Silvano a cercare i vari Bangla, aperti per la città, dove poter comprare per due soldi i cartoni del vino, rosso o bianco che fosse. Ho imparato che non si deve cambiare tipologia di vino, poiché lo stomaco o il fegato o forse tutti e due, si abituano alla chimica di questo tipo di bevanda alcolica, che difatti a chiamar vino ci vuole una certa fantasia. Ho altresì imparato che è fondamentale andare a dormire ciascuno con il proprio cartone di vino sotto la testa a mo di cuscino, in quanto è importantissimo averlo pronta mano alla mattina, onde evitare vere e proprie crisi astinenziali improvvise, con annessi tremori e malori vari, ecco questo naturalmente mi faceva inorridire e anche adesso al solo pensarci mi rattristo non poco; difatti l’astinenza alcolica è una delle peggiori tra tutte, molto aggressiva e pericolosa se non addirittura fatale! Io ad un certo punto, in una delle più belle piazze di Varenna, una assolata domenica mattina, mi imbatto casualmente in un mio vecchio amico di Nimiri e decido di lasciare il gruppo e questa vita dissipata e senza speranza. Sì devo dire che ne avevo passate di tutti i colori, la mia curiosità iniziava a lasciare il posto alla disperazione ed all’angoscia, l’avventura volgeva al suo termine e ne ero piuttosto sollevato anche se non privo di una certa tristezza e nostalgia che mi porto ancora oggi nel cuore, per tutti gli amici ed i personaggi che ho avuto il piacere di incontrare durante questo paio di settimane di soggiorno.
Questo mi frullava nella testa sul treno diretto a Rimini, ero preoccupato giustamente per i pericoli a cui andavo nuovamente incontro, ma si sa che “uomo avvisato mezzo salvato”, vero Steve? Hai capito Steve?!
E che Dio te la mandi buona, caro ragazzo mio!
Scritto da Stefano Turci