Dark Inside: il buio dentro
G. K. Chesterton ha scritto : “Le fiabe non insegnano ai bambini che i draghi esistono, questo loro lo sanno già. Le fiabe insegnano ai bambini che i draghi possono essere sconfitti“.
Era una calda giornata d’Agosto, una di quelle in cui apri gli occhi e vieni investito dalla terribile sensazione che qualcosa di brutto stia per accadere. Andò così per il vecchio Josh, che tanto vecchio non era, ma era tanto stanco. Stanco di svegliarsi al mattino e vedere che i suoi sogni erano soltanto sogni, stanco di tormentarsi pensando alle difficoltà che gli impedivano di realizzare i suoi progetti, ma soprattutto Josh era stanco di non avere un giardinetto davanti casa, un altalena, e due bambini che assomigliassero a Gloria che si dondolavano sopra di essa.
Per anni era stato felice, soddisfatto, innamorato della sua vita. E di Gloria. Così come lo era di se stesso.
Il lavoro da “buttafuori” che aveva scelto, nutriva il suo ego, ma non gli permetteva di avere quella stabilità economica necessaria per fare un grande passo, sposare Gloria e dare il via a quel futuro che entrambi sognavano da troppo tempo.
Con il passare del tempo, l’insoddisfazione si era iniziata ad insinuare dentro i loro animi, si era fatta strada rapida e silenziosa come un virus letale, ed in pochi mesi aveva oscurato ed infine distrutto un amore che per 8 anni aveva visto troppe luci e pochissime ombre.
Quella stessa sera Gloria andò via lasciando un vuoto. Un vuoto che Josh già sapeva, difficilmente avrebbe accettato e colmato.
Svariate emozioni si trovarono a turbinare e lottare dentro di lui, fino a che due di esse, le più forti, presero il sopravvento su tutte ed impararono a convivere nutrendosi l’una dell’altra.
Rabbia e dolore non dovrebbero mai entrare in contatto tra loro. Creano una miscela molto pericolosa.
Come un uragano che improvvisamente si abbatte sopra un isoletta paradisiaca, devastando tutto quello che incontra sulla sua strada, questo cocktail sentimentale era riuscito a stravolgere e rivoltare un’esistenza fino a quel momento spensierata e felice.
Da quando Gloria non c’era più, Josh si sentiva come un Luna Park al quale erano state staccate le luci.
Lì dove un tempo pullulava la gioia, non era rimasta che polvere.
2.
Erano passati alcuni mesi, e dopo vari tira e molla, le strade di Josh e Gloria si erano divise per sempre.
A nulla erano serviti i tentativi di riparazione, lui ormai non era più lo stesso. E non riusciva più a dipingere nella sua mente la bellezza e le qualità che aveva da sempre attribuito a quella creatura conosciuta 8 anni prima e che nei suoi pensieri reincarnava una qualche divinità. O meglio, ben nascosta in mezzo a tanta virtù, Josh aveva iniziato a immaginare l’ombra di un potere oscuro. Quella forza che aveva permesso a Gloria di separarsi da lui.
Fin da subito aveva scelto di sottrarsi alla sofferenza trovando rifugio in alcool e droga.
Giorno dopo giorno, come un meticoloso operaio, aveva preparato uno speciale cemento e costruito il suo muro. Un muro fatto di marijuana, whisky e cocaina.
Ma si sa ,i fantasmi non possono essere fermati da un muro.
Soprattutto quando sono fatti di carne e ossa, hanno lunghi capelli biondi e grandi occhi verdi, e ti ricordano ogni giorno che un tempo sei stato felice.
Nonostante le trasgressioni e la droga, Josh continuava a sentire dolore, un tipo di dolore che lo portava a spingersi sempre più in là.
Con cieca consapevolezza aveva deciso di trasformarsi in un mostro, perché i mostri fanno paura a chiunque li veda, stanno bene da soli, e soprattutto non hanno sentimenti. Perlomeno questo era ciò che credeva.
Una sera, durante una delle sue abituali discese all’inferno, fatte di sesso, cocaina e compagnie sempre nuove, Josh si imbatté in una donna. Una donna che il giorno dopo non avrebbe dimenticato, poiché aveva qualcosa che le altre non avevano. Melany aveva in tasca due pasticche di Fentanyl.
3.
“Scusami”, le disse sorridendo con quell’espressione di falsa innocenza che tanto bene sapeva usare , “Mi sono impadronito del tuo divano come fossi in casa mia”. “Ho notato,ma non preoccuparti,continua pure a sentirti libero”, rispose lei ridacchiando.
Prese due bicchieri a forma d’uovo di vetro lavorato, e li riempì per metà con del Jack Daniels, poi aggiunse due dita di Coca Cola e gliene porse uno.
“Grazie, gentilissima. Se mi avvicini un piatto preparo qualcosa anche io”, e tirò fuori dal taschino dei jeans un involucro di carta stagnola.
Melany tornò dalla cucina con due piatti. “Questo è per te, con quest’altro invece ti faccio provare una cosa”.
Josh afferrò il piatto che lei gli aveva allungato, rovesciò al suo interno la cocaina contenuta nella stagnola ed iniziò a schiacciarla usando la tessera del codice fiscale. Contemporaneamente lei mise nel piatto due pillole bianche, e mostrandogliele gli chiese “questa l’hai mai provata?”.
“mmh ..mai viste ..sinceramente non mi piacciono le pasticche, le ho sempre evitate. Il fatto che vengano mandate giù come fossero farmaci non mi attira per niente” rispose lui con un mezzo sorriso.
“Si chiama Fentanyl, io non le ingoio, le faccio polvere e le sniffo come si fa con la coca, è una bomba. Ti faccio vedere”.
Josh aveva preparato un paio di strisce, e aspettando che anche lei finisse di preparare le sue, prese il telefono per dare un occhiata a qualche notifica che aveva ignorato mentre era intento a schiacciare piccole pietre bianche.
Sbloccò lo schermo del telefono e rimase di cera nel leggere il mittente di uno di quei messaggi. Glory.
Era questo il nome adesso associato a quel numero che per tanti anni era stato salvato sotto la dicitura “Amore mio”. Si sentì sorpreso, curioso ed allo stesso tempo bloccato.
Quel nome lo agitava. Era passato ben più di un anno, ma lei non gli era mai diventata indifferente, pensarla lo mandava in confusione, non era mai riuscito a capire se in cuor suo volesse sentirla o se al contrario avrebbe davvero voluto dimenticare. Il suo ricordo gli portava tristezza, nostalgia e sofferenza, ma una parte di lui non voleva lasciarla andare. Lei lo riportava indietro, a quando tutto era bello.
Dopo aver fissato lo schermo per qualche secondo si decise ad aprire il messaggio.
“So che non dovrei più cercarti, ma ti penso, non so perché dopo tutto questo tempo ancora ti penso, e se non sono riuscita a dimenticarti qualcosa deve pur significare…”.
Si era trovata un nuovo ragazzo, era riuscita a voltare pagina, ma di tanto in tanto andava a sbattere contro una dura realtà. Nessuno era ancora riuscito a diventare per lei quello che era stato lui, ed allora tornava a farsi viva per tormentarlo. Era più o meno questo quello che pensò Josh, pieno di rabbia ed orgoglio, dopo aver letto il messaggio.
Si sentiva come uno di quei predatori che venendo colpiti, rispondono mostrando una ancora maggior aggressività. Decise che doveva contrattaccare. E ferirla.
“Sai che ti dico?” disse rivolgendosi a Melany, mostrando una finta imperturbabilità. “Rispondo un minuto ad un messaggio e poi ci facciamo due botte”.
“Chi è? Tua moglie?” chiese lei con un ghigno.
“Fortunatamente non ho fatto in tempo a ficcarmi in quest’altro casino” rispose lui con ironia ed un pizzico di cattiveria. ” E’ finita ormai da un bel po’ di tempo, ma ogni tanto realizza che il nuovo fidanzato non la soddisferà mai abbastanza e torna a rompere i coglioni. Un attimo esatto e sono da te”, aggiunse pieno della sua superbia, sforzandosi di sembrare distaccato.
“Il giorno deliro, la notte sogno, e tutti i miei sogni mi riportano là dove vedo il bagliore dei tuoi occhi vivi, dove leggera tu ti muovi, in eteree danze, lungo eterni rivi”.
La poesia di Edgar Allan Poe, intitolata “A una in paradiso”, era il modo cinico e crudele con cui Josh rispose al messaggio di Gloria. Quelle eleganti parole, che rispecchiavano bene il suo animo narcisista, racchiudevano nella loro bellezza il più crudo significato. Per me sei morta.
E per essere sicuro che il messaggio fosse chiaro, precisò inviandone un altro. “Pensare a te mi porta alla luce un’infinità di momenti magici, ma si tratta del passato. Ormai per quanto mi riguarda, tu sei morta.”
Compiaciuto ed allo stesso tempo turbato per il modo in cui aveva reagito all’apparizione del fantasma che tornava ad infestare i suoi pensieri, si rivolse a Melany dicendo : “Missione compiuta, adesso fammi provare quella cosa che chiami bomba”.
4.
Accese una sigaretta, gettò la testa all’indietro contro lo schienale del divano e si mise a fissare pigramente la scia di fumo che saliva verso il soffitto. Le immagini erano distorte, offuscate, ed ogni suono sembrava provenire da molto lontano. Una sensazione di pace lo avvolgeva come un tenero abbraccio, si sentiva leggero. Melany era seduta di fianco a lui e lo guardava sorridente, d’un tratto senza dire una parola, si spogliò e gli si mise addosso.
L’incessante squillare del telefono riportò Josh alla realtà. L’orologio segnava le 11.34, e sul display del cellulare, la parola “mamma” si illuminava ad intermittenza, come a dare più forza alla suoneria che per 9 volte aveva già ignorato. Erano passate circa 14 ore da quando aveva messo piede in quella casa, ed aveva perso ogni cognizione del tempo. Decise di non rispondere e rimandare la conversazione – interrogatorio, al momento in cui sarebbe tornato a casa.
Aveva ancora con se un ultimo piccolo quantitativo di coca, lo consumò, accese una sigaretta e si apprestò a svegliare Melany che dormiva sul letto accanto al punto dove si era risvegliato lui qualche istante prima.
“Buongiorno, si sono fatte le 12,devo andare” le disse. “Bravo, bravo…hai passato la tua bella serata ed adesso scappi via, lasciandomi a letto, nuda e senza aver preparato nemmeno un caffè” rispose lei, modificando il broncio da bambina capricciosa che aveva disegnato sul viso, a vantaggio di un sorriso assonnato e confuso. “Se per lo meno senti il bisogno di farti perdonare, chiamami stasera”. Josh le si avvicinò, la baciò sulla fronte e le disse: “A più tardi”.
Durante il tragitto in auto, pensava alla ramanzina che di lì a poco gli avrebbe fatto sua madre.
Qualche mese dopo l’addio di Gloria, era tornato a vivere a casa con i genitori ed il fratello di qualche anno più piccolo. Lo avevano quasi pregato di tornare da loro, per accertarsi che ricominciasse almeno a mangiare e dormire. Così, pensando di poterli un minimo tranquillizzare, era tornato a casa. Quel trasferimento però era presto sfociato in una difficile convivenza. Non è assolutamente semplice nascondere certe cose alle persone che ti amano. E non si può chiedere a due genitori che vedono sprofondare in un abisso il proprio figlio, di stare a guardare senza intromettersi e provarle tutte per tirarlo fuori. “Dove sei stato? Ti abbiamo telefonato tutta la mattinata. Potresti almeno rispondere per dire che sei ancora vivo”. “Scusa mamma, sono stato a casa di un’amica, mi sono addormentato e non appena mi sono svegliato sono tornato a casa. Non mi sono completamente reso conto dell’orario”. Impiegò qualche altro minuto a schivare le successive domande e a tagliare corto ogni altra possibile discussione.
5.
Con il passare del tempo si era abituato ad apprezzare la propria metamorfosi. Non provava più empatia. Aveva sviluppato una sorta di analfabetismo emotivo, non riusciva più a rapportarsi con gli altri in maniera affettiva e non riusciva nemmeno ad identificare i propri sentimenti. Perciò era come non averne affatto. Una specie di “gelo dell’anima”.
Aveva iniziato a considerare la propria condizione come una speciale armatura che lo rendeva immune a qualsiasi senso di colpa per la totale immoralità che condiva la sua vita, per l’egoismo che guidava ogni sua azione e per le sofferenze che infliggeva agli altri senza provare rimorso.
“E’ dal buio che vengo, ed è al buio che a volte sento il bisogno di tornare”.
Così giustificava quello che era diventato e le azioni criminose che da un po’ svolgeva come fossero la cosa più normale del mondo. Pestaggi, minacce, ricatti ed estorsioni avevano un duplice scopo, da un lato gli fornivano i soldi necessari a mantenere quello stile di vita fatto di droga e trasgressioni, dall’altro servivano a saziare quell’appetito, quella voglia di giocare al cattivo, che poco alla volta aveva iniziato a dargli un perverso piacere.
Era un demone che selezionava le sue prede, gli dava la caccia, e dopo averle catturate le costringeva a pagare tributo. Non se ne faceva una colpa, tutto questo non era che una naturale risposta al richiamo dell’oscurità che si celava dentro di lui.
Sapeva però che percorrere quel sentiero era come seguire un arcobaleno nero, alla fine ad attenderlo non ci sarebbe stata nessuna pentola colma d’oro, ma soltanto una grotta silenziosa, con le pareti sporche di malvagità e invisibili residui d’innocenza.
6.
Non appena ebbe finito di cenare insieme alla sua famiglia, fece indossare a Rey la pettorina che usava per portarlo fuori a passeggiare. Rey era un grosso cane nero con petto e zampe bianche. Probabilmente era l’essere vivente con cui Josh sentiva il legame più forte, fatta eccezione per Gloria.
Si conoscevano da più di 16 anni, da quando quel maestoso cagnone era ancora un batuffolo che si spostava buffamente a fatica da una stanza all’altra della casa. Quell’animale era parte di lui, le loro anime si completavano. Rey riusciva a tirare fuori con estrema naturalezza tutti quei sentimenti più puri che Josh faticava a mostrare alle persone.
Avevano sempre vissuto in simbiosi, e come quel cane avrebbe dato per lui ogni suo singolo respiro, allo stesso modo Josh si era sempre impegnato a dargli in cambio tutto ciò che sembrava renderlo felice, affetto e presenza.
Da quando era cambiato però, anche le sue attenzioni per il cane erano decisamente diminuite. Aveva ridotto all’osso il tempo e la pazienza che gli dedicava ,e questo era forse l’unico pensiero che evocava in Josh veri e propri sensi di colpa.
Ma ogni qual volta lo vedeva a letto, quel vecchio cane di 40 e passa kg non perdeva l’occasione di andare a sdraiarsi accanto a lui. Muso a muso, respiro contro respiro, gli occhi dell’uno dentro quelli dell’altro.
In quei momenti Josh sentiva ancora un emozione che non avrebbe mai saputo spiegare a nessuno. Pura percezione. Amore incondizionato.
Di ritorno dalla passeggiata, fece una doccia, ed informò sua madre che avrebbe passato la sera con la nuova amica e che con ogni probabilità sarebbe rimasto a dormire da lei. La madre lo guardò perplessa e si limitò a dire ” Va bene, fa come vuoi, ci vediamo domani”.
Salutò entrambi i genitori, stampò un bacio sul muso umido di Rey e salì in auto.
Voleva rivedere Melany. E provare di nuovo il Fentanyl.
7.
Dopo pochi giorni trascorsi insieme, Josh e Melany avevano fatto coppia fissa, e lui finì per trasferirsi da lei. Sembravano funzionare bene insieme. Lui era un ex addetto alla sicurezza, esperto di sport da combattimento, reso ancor più efficiente, cattivo e spietato dalla rabbia e dalle dipendenze. Lei era una macchina che sfornava soldi senza mai incepparsi, Escort di professione, grazie ai suoi clienti forniva a Josh una serie infinita di situazioni e motivazioni alle quali aggrapparsi per far emergere il mostro assetato di vendetta e denaro. In tutto questo il Fentanyl fungeva da perfetto collante, rendendo accettabile, anzi piacevole e vantaggiosa, la perversa relazione tra i due.
Quelle piccole pasticche bianche aprivano un portale che affacciava su un’altra dimensione.
Le persone comuni avevano trovato nei social network il modo per evadere da realtà che non le facevano sentire soddisfatte. Credevano di interagire con gli altri, si circondavano di falsi amici solo per spiare le vite altrui e per farsi guardare senza vergogna, senza pudore. Ma erano soltanto topolini in gabbia che passavano il tempo guardando nelle gabbie degli altri topi. Il Fentanyl invece apriva le porte di un mondo nuovo, un mondo in cui chi vi accedeva poteva sentirsi libero di essere qualsiasi cosa volesse, dove non doveva adattarsi per convivere con gli altri, dove non era necessario scendere a compromessi con la propria natura ed era possibile mettere da parte qualsiasi ipocrisia.
In brevissimo tempo quella sostanza oppiacea aveva scalato tutte le posizioni nella personale classifica delle cose che piacevano e facevano stare bene Josh. Prese a consumarne una quantità sempre maggiore. Ogni qualvolta la sua mente sembrava riacquistare un minimo di lucidità ed il malessere che lo affliggeva si riavvicinava ,pronto a bussare alla sua porta, lui frantumava una pasticca e la trasformava in piste di decollo verso quel mondo dove non esisteva il dolore.
In pochi mesi aveva rimosso anche quella parte di umanità che gli imponeva di indossare una maschera per nascondere a chi gli stava vicino quello che era diventato. Inevitabilmente aveva ridotto e poi distrutto i rapporti con la famiglia, adesso anche loro guardandolo non potevano vedere altro che un mostro.
Gli era rimasta solo Melany, e non poteva permettersi di perderla. Solo con lei avrebbe potuto continuare a procurarsi le ingenti somme di denaro che ogni giorno spendeva in droghe.
Anche lei senza rendersene conto era finita per diventare una sua vittima. Si era presa per lui una bella cotta e faceva di tutto per viziarlo, gli perdonava qualsiasi errore o cattiveria commettesse.
L’aveva catturata usando armi diverse da quelle che usava con gli estranei. A Josh bastava coccolarla facendole gli occhi dolci per ottenere qualsiasi cosa lei fosse in grado di dargli.
“Il diavolo non urla, sussurra all’orecchio”
“Sono un diavolo”, pensava a volte quando si rendeva conto di come stava usando quella donna, che aveva mille difetti ed altrettante ombre, ma che provava per lui un qualche sentimento, malato di certo, ma pur sempre un sentimento.
E ‘dal buio che vengo, ed è al buio che a volte sento il bisogno di tornare. Sono un diavolo.
Questa idea serviva a ripulirgli la coscienza.
Un idea che si radica in profondità dentro la mente può diventare pericolosa. Può passare dall’essere una cosa che la mente possiede ad una cosa che possiede la mente.
8.
Da qualche tempo Josh era rimasto praticamente da solo, nonostante vivesse ancora con Melany, anche quel rapporto si era irrimediabilmente incrinato. Riuscivano ad andare avanti solo all’interno di quell’universo parallelo in cui il Fentanyl lo catapultava, quel posto dove ogni sbaglio ed ogni dolore venivano cancellati. Ma era soltanto un’illusione, quelle pasticche non facevano altro che lasciarlo da solo con i suoi demoni, assecondandoli senza volontà di combattere. E come tutte le illusioni, era destinata a crollare.
Fu così che a causa di una denuncia, da parte di una delle tante persone a cui aveva fatto del male e di cui non ricordava nemmeno il nome, una mattina fu prelevato dalla polizia dall’appartamento di Melany condotto in carcere. Stranamente una parte di lui ci mise pochissimo ad accettare ed abituarsi a quella nuova condizione. Forse come succede anche ad alcuni dei più spietati serial killer, ad un certo punto sopraggiunge l’inconscio desiderio di essere fermati.
Con il passare dei giorni Josh riacquistava poco alla volta la propria umanità.
Iniziò a riprendere il rapporto con i genitori .Neanche questa volta le persone che più lo amavano lo avevano abbandonato. Si sentiva in colpa, ed il senso di colpa è un sentimento che appartiene all’uomo.
“Non sono un diavolo”. “C’è ancora speranza”, si disse.
Dopo circa 5 mesi, Josh vedeva in modo più chiaro dentro di se i segni di una voglia di rinascita. Aveva riscoperto un desiderio dimenticato anni prima.
“Voglio vivere”.
Si svegliò in un mercoledì come tanti altri, era la giornata destinata agli incontri con le famiglie. Si sistemò e si fece trovare pronto quando arrivò la chiamata della guardia che lo invitava a raggiungere la sua famiglia in sala colloqui. Superò serenamente il rito delle perquisizioni e si diresse sorridente al tavolo dove lo aspettavano i suoi genitori. Li baciò e si sedettero.
Il loro sguardo quella mattina era diverso, tenevano gli occhi bassi, suo padre non parlava, la voce della madre era tremante. “Cosa è successo? chiese, e poi di nuovo, “Mamma, papà…cosa è successo?”
Sua madre prese la parola, aveva gli occhi lucidi,” Te lo dobbiamo dire…Rey è morto. Era grande, sapevi che non stava bene e sarebbe successo. E’ morto in pace, senza soffrire”.
Le lacrime scendevano come gocce di pioggia dagli occhi del padre e si infrangevano sul tavolino della sala colloqui. Josh era pietrificato, non riusciva a parlare. Quell’essere che tanto aveva amato e che faceva parte di lui era scomparso, non lo avrebbe mai più rivisto. Non era stato al suo fianco nel periodo in cui si stava spegnendo, chissà quanto a Rey era mancato. Anche se era un mostro, anche se quell’amore lui non lo meritava più, il suo cane avrebbe di certo voluto averlo accanto un ultima volta prima di andare via. E lui lo aveva lasciato andare senza dargli nemmeno un ultimo bacio sul muso. Uno di quei baci che si erano scambiati milioni di volte.
Le cadute lungo il percorso disegnato dal fato, noi le chiamiamo “se”.
Se avesse avuto il coraggio e la forza di fare quella scelta, se fosse stato più dedito al sacrificio, se avesse saputo reagire diversamente al dolore, se non fosse stato così egoista, forse adesso sarebbe stato a letto abbracciato con Gloria a godersi lo strusciante rumore della pioggia, l’intima tenerezza di una giornata senza impegni. Forse Rey sarebbe stato lì a mettersi in mezzo a loro, come faceva tutte le volte in cui si coccolavano troppo lasciandolo al di fuori da quelle attenzioni. Forse le cose sarebbero andate diversamente.
Se.
Invece era il detenuto che abitava la cella 4 al primo piano di un istituto carcerario.
Josh sentiva il cuore lacerarsi, non riusciva a trattenere lacrime e singhiozzi.
Le loro anime si completavano.
Quell’incontro finì tra molte lacrime e poche altre parole, e Josh fece ritorno alla sua cella.
Passò qualche giorno a metabolizzare il dolore ed i sensi di colpa. Impiegò del tempo prima di riuscire a metterli da parte e ricordare invece con gioia tutti i momenti che aveva passato insieme al suo cane e quello che di bello si erano regalati a vicenda. Era felice di essere stato il suo compagno, così come Rey era sicuramente stato felice di essere il suo cane. Rey avrebbe continuato a vivere e correre libero dentro di lui. Erano una cosa sola.
Da qualche tempo la sua famiglia in accordo con l’avvocato che si occupava della sua situazione gli faceva una proposta. Una comunità di recupero. Josh non aveva mai voluto prendere in considerazione quella eventualità. “Non fa per me” ,continuava a ripetere.
Ultimamente però qualcosa era cambiato, i suoi genitori non meritavano quella vita fatta di visite in carcere ed incubi notturni, meritavano di riavere indietro il proprio figlio. E lui voleva tornare ad essere la persona che era, quella attenta alle emozioni e alle fragilità degli altri, che non abbandonava nessuno.
Quella che era prima che tutto avesse inizio, prima di quella maledetta calda sera d’agosto. Così accettò di intraprendere un percorso presso la comunità di cui più volte avevano parlato.
Era il giorno 11 ottobre quando lascio il carcere per raggiungere la nuova struttura che lo avrebbe ospitato.
Messo comodo sul sedile posteriore della volante che si occupava del trasferimento, Josh guardava fuori dal finestrino. Durante il lungo tragitto vide molte cose che ai suoi occhi sembrarono meravigliose: un bambino che camminava tenendo in mano un palloncino, una giovane coppia dagli occhi felici che rideva mentre ascoltava canzoni all’interno di un auto, due anziani che passeggiavano tenendosi per mano, un cane nero con il petto e le zampe bianche che rincorreva una pallina lanciatagli dal padrone.
Pensò che quelle immagini avrebbero potuto benissimo far parte di una serie di illustrazioni che decorano le pagine dei libri di favole. Quei libri che da bambino gli piacevano tanto.
Si ricordò di una frase che aveva letto chissà dove molti anni prima.
“Le fiabe non insegnano ai bambini che i draghi esistono, questo loro lo sanno già. Le fiabe insegnano ai bambini che i draghi possono essere sconfitti”.
E Josh era finalmente deciso a combattere i suoi.
Scritto da Samuele Lombardo