Un gatto di nome Shaboo
1 – Arrivo in appartamento
All’epoca ero ancora piccolo e non ricordo prima del mio arrivo in quell’appartamento, quella che sarebbe stata la mia nuova casa e quella di mia sorella. Arrivai con la curiosità e con leggera diffidenza, mi misi a studiare la figura che sedeva sul divano del soggiorno. Non sapevo ancora che lui e Bonnie, che ci avevano portati lì, sarebbero diventati i nostri genitori adottivi.
Dopo essermi messo a studiare lo strano individuo che aveva la parvenza di essere il “padrone di casa”, un esemplare strano di bipededalla lunga chioma color cenere, gli occhi grigi e intensi come il cielo che accompagnava quella giornata fredda, che mi scrutavano con dolcezza e stupore, un forte odore, che più in là col tempo imparai che era alcool, e dei curiosi modi di fare con un foglietto di alluminio, che ogni volta che prendeva tra le mani con l’ausilio di un altro cilindretto portato alla bocca, rilasciava nell’appartamento uno strano odore mai sentito prima di terra misto a fiori, ma tutto quel rito che faceva lo capii col tempo, lo osservai per molti anni a venire, ma non è ancora il momento di raccontarvene. Era un tizio burbero, un misto tra un gitano e un pirata, ma all’ epoca non sapevo ancora che sarebbe diventato il mio migliore amico.
Dopo aver ricevuto un’accettabile dose di attenzioni e carezze, io e mia sorella, cullata e coccolata da Bonnie, ci mettemmo a curiosare in giro. Dalle successive azioni presto capii che sarebbero stati decisi i nostri nomi, come i loro destini.
I due erano contenti e tutto sembrava lì per noi, per farci sentire subito a casa.
Dalle gambe del tizio balzai sul divano e poi su una mensola, intanto lui ne approfitto per fare un sorso di quella che chiamavano birra, sulla mensola stava appoggiata quell’interessante costruzione a forma di barchetta fatta con la carta stagnola, mi ricordo che prima che potessi annusare il contenuto venni preso con dolcezza e portato subito all’attenzione di altro, la grossa torre di vetro verde sul tavolo alta quanto me chiamata bottiglia. Alla vista di ciò Bonnie lo chiamò per nome con voce ferma: “Geko stai attento che il gatto non si sballi con la tua merda e toglila da lì” lui eseguì con tale fermezza quasi che mi fece dubitare di chi dei due fosse l’autorità del luogo, visto anche l’attenzione e la premura nei confronti di mia sorella, alla quale per le peripezie che stava compiendo per esplorare da cima a fondo la nuova casa le venne subito dato il nome Ninja,mapoicon allegria e stupore sentii i due che ridendo chiamarono per la prima volta per nome anche me, il nome perfetto per lui esclamò Gekoè Shaboo, lei sorrise e annuì.
2 – Bonnie la madre dei felini
Bonnie era diventata la nostra mamma premurosa, Geko come gli altri la chiamavano spesso Miao, perché nel suo passato si era presa cura di altri 25 trovatelli come noi e lo faceva con l’amore di una madre per i propri figli, anche se diceva che di figli non ne voleva sapere. Aveva gli occhi del mare e i capelli rossi incredibilmente lunghi e ondulati, anche lei con anelli alle dita e cerchi ai lobi, un autentica coppia di pirati erano quei due. Lei vedeva sempre di me e mia sorella e non ci faceva mai mancare nulla, stava fuori casa qualche ora per lavorare come badante di una simpatica vecchietta e quando tornava portava con sé la pappa buona (così chiamava le nostre scatolette), ma non poteva mancare qualche bottiglia di bumba per lei, per i suoi problemi di ansia e agorafobia mandava Geko a rifornirla. Geko per lei andava anche in farmacia, tabacchino e qualsiasi luogo chiuso e potenzialmente affollato. Per uscire di casa la mamma doveva avere in corpo un cocktail di farmaci e alcool, ma a noi non turbava questo. Ogni tanto, quando esagerava col bere, se la prendeva per qualche malefatta di Geko, perlopiù legati a tradimenti e bugie del papà.
Geko lavorava per la maggior parte della giornata, tutti i giorni, però quando tornava a casa era felice di vedere la sua famiglia e la sua casa. Anche se ogni tanto alzava la voce con Bonnie per il disordine che lasciava in giro quando la trovava sbronza, bastava una telefonata e gli passava tutto, metteva apposto nell’intercorrere della stessa e l’arrivo di qualche strano tizio, si faceva dare un po’ di merda che chiamava marpa e cominciava col rituale della stagnola. Ai miei occhi era proprio un rituale e insieme al tizio, e di rado a Bonnie, fumavano in cerchio seduti come gli indiani, ma quando succedeva a prescindere dal tempo fuori Geko ci apriva la finestra per poter andare in terrazza, un posto che aveva allestito nel tempo per i nostri comodi e bisogni, con tira graffi, palline e altre cazzate per felini che portava Bonnie. Io e Ninja ci divertivamo a giocare con la carta stagnola appallottolata che trovavamo sul tavolino. Nonostante questo a Bonnie non andava un cazzo bene che Geko usasse la marpa in salotto, ma non era l’unica cosa che risultasse ipocrita da parte di Bonnie per Geko. Dall’angolo del mio posto preferito del divano vedevo già il loro futuro sgretolarsi pian piano. Le ore di lavoro a Geko risultavano pesanti e vedere di molte faccende della casa, di cui né io né lui ci capivamo molto, e l’ aumentare dell’instabilità emotiva di Bonnie facevano sì che lui quando non lavorasse organizzava feste in casa invitando amici che condividevano la sua stessa passione per le sostanze e la casa non ci appariva più un territorio solo nostro, anche se le figure che entravano erano spesso amici di vecchia data amanti degli animali che ci lodavano e coccolavano una volta che passava la diffidenza dei primi giorni. Spesso chiamava il suo amico detto Il Brutto con cui fumava perlopiù cannabis, ma il Geko faceva il fumo del dragone come al solito con la stagnola e lo ascoltava suonare le sue canzoni o cover dei Nirvana con la sua chitarra e una cadenza e stile impeccabile, anche Bonnie era compiaciuta di quei momenti e cantava a memoria ogni singolo brano. Spesso invitava il suo amico Lao per quello che chiamavano “l’aperitivo”, un alternativa di loro invenzione ad un momento di ascolto di musica tradizionale o jazz orientale, conversazione con l’aggiunta di una bottiglia di sakè e fumare oppio da caffettiere e pipe di vetro, il tutto con l’alternarsi di utilizzo di cannabis, la quale non rifiutavo troppo l’odore da uscire in terrazza, così da fare compagnia al mio amico e osservarlo nelle sue attività da umano ancora ignaro del triste destino che si sarebbe abbattuto su di lui.
Geko e le sue sostanze che condivideva con i tipi più eccentrici faceva allontanare sempre più Bonnie, che in risposta coltivava per me e Ninja vasi di erba gatta per distrarci, ma con un po’ di ironia renderci simili ai nostri umani. Ne eravamo inebriati e divertiti come i bambini che imitano i genitori nelle attività della vita adulta, ma vedevo ancora un po’ di parvenza di controllo della cosa da parte di Geko. Mentre Bonnie era sempre più annebbiata dall’alcool, annichilita dagli ansiolitici e frustrata di non avere un luogo dove sentirsi al rifugio durante le sue crisi; cominciò ad uscire di casa sempre più e le cose tra loro non sembravano andare bene. Per molti anni avevamo dormito tutti e 4 insieme, ma ora sentivo che le cose stavano per cambiare drasticamente. Una sera Geko invitò uno dei soliti amici delle serate soprannominate film-discussione e marpa e la Lepre portò con sé una sua amica, fumarono qualche bong di cannabis insieme, e io come Bonnie ci accorgemmo di una certa elettricità nell’aria che emanavano il Geko e lei, senza parlarsi, come tra noi felini, poi lei gli regalò un CD musicale inedito e quando eravamo tutti troppo fatti e straniti ce ne andammo a dormire, questa volta però sul divano.
Dopo quel giorno qualcosa cambiò in Geko e i tira e molla e comportamenti a me incomprensibili degli ultimi tempi non erano stati d’aiuto e si lasciarono definitivamente. Geko e Bonnie si lasciarono (dopo 4 anni insieme), con la velocità fulminea e la stessa intensità in cui si erano conosciuti, presero strade diverse.
La mamma non avrebbe più vissuto a casa con noi.
3 – Lëna la regina di spade
Non passò molto tempo e noi stavamo a giocherellare tutto il giorno da soli e a combinarne di tutti i colori al papà, come presumibilmente i figli che non ricevono abbastanza attenzioni, ma ci sentivamo i padroni indiscussi della casa ora. Il Geko tornava a casa sempre stanco, dopo lavoro spesso stava poco con noi, per darci da mangiare e vedere che stessimo bene sì, ma poi triste fumava da solo, non più seguendo quel rituale accurato, quasi maniacale, ma più spicciolo e veloce. Riprendeva come per magia le forze ad ogni pezzo (così chiamato) e quando era soddisfatto abbastanza, usciva. Non sapevo dove andava, ma quando tornava puzzava sempre di alcool e si fiondava sul tavolino pronto a scartare quel pezzo di coca e marpa, mix che amava tanto nell’ultimo periodo, lo chiamavano speedball e io per indispettirlo nel momento della preparazione gli stavo vicino, pronto con la coda a strusciarmi sulla sostanza, facendolo smattare, vizio che io non mi tolsi più. Lui poi quando finiva di fumare il tutto mi faceva un cenno con la mano e un richiamo con la bocca e io ritornavo a strusciare sulla sua gamba, ormai era il mio umano e lui mi parlava di tutto. Spesso erano sfoghi, spesso ci sentivamo connessi e mentre era a piccare su quel divano rosso e tondo anni 70 inglese me ne stavo vicino a lui a tenerci caldo.
Una sera in particolare cambiò qualcosa. La sera dopo lavoro non tornò a casa subito, ma non andò nemmeno a bere, poco dopo che fece buio tornò con quella stessa ragazza con cui ebbe quel colpo di fulmine, sentivo la loro sintonia quasi al tatto, lei mi piaceva molto e le andai vicino subito, dopo essermi fatto accarezzare mi strusciai il musetto sulla sua pelle, era una ragazza bellissima, così le disse subito il mio amico. Aveva i capelli nerissimi e lisci con la frangetta, occhi verde sfumato con del castano quasi riflesso di giallo. Lei umile arrossiva e si lasciava coccolare dalle parole gentili e dal modo garbato di Geko, c’era un feeling mai sentito, lui le aveva scritto se voleva uscire insieme qualche ora prima e lei accettando non si sarebbe aspettata nulla di tutto ciò. Quando la vide la prima volta era inverno e non notammo il suo fisico slanciato, la sua postura da signorina, le sue gambe lisce e quel tatuaggio a forma di fragola; Geko tatuava per passione e gli piacevano i tatuaggi e le fragole. Quella sera però noto tutte quelle cicatrici, quei raschiamenti cutanei e piste sulle braccia, sentii Geko con un dispiacere sincero al cuore. La strinse forte, l’abbracciò per molto sul divano e io percepii che si sentì voluta come non accadeva da tempo, poi si misero nel letto e fecero l’amore. Lei passo la notte dormendo con lui poi la mattina seguente disse che doveva andare e che si sarebbe fatta sentire. Geko andò a lavorare e quando tornò aspettò che si facesse viva, ma io sentivo che arrivata oramai la sera non ci sperava più così tanto. Geko era cambiato e parlava più con me che con quelli della sua specie, era più solitario e la casa era di nuovo nostra. Passato poco tempo lui torno a casa con Lëna, in tutto stupore, e da quel giorno lei non se ne andò. Non passò molto tempo che ci sentimmo di nuovo una famiglia, con la nostra nuova mamma. Geko da un giorno all’altro non toccò più alcool e il merito pensai fosse di Lëna, la quale non vidi mai bere quegli intrugli nauseanti. Mi incuriosivano però nuovi comportamenti umani, che scherzosamente Geko appellava junky. Lëna era tossicodipendente, ma al mio amico non importava questo, come noi felini andava oltre l’apparenza. Spesso andavano e tornavano più volte al giorno, ogni volta seguiva il rito di fumare e io come lui ne appresi uno nuovo che chiamava della spada che però prendeva il suo tempo.
Lei col suo pezzo, spesso offerto dal Geko, lo metteva in un cucchiaio e lo scaldava fino a scioglierlo, tirava su il liquido con la spada appena questo si era raffreddato, si metteva sul tappeto e sfilandosi un calzino se lo legava stretto al braccio, poi con una certa cura cercava posto per infilzarsi la vena; molto spesso questa operazione non le riusciva al primo colpo e finiva con la vergogna addosso in un lago di sangue nel loro bagno, non voleva farci assistere a quel suo calvario diceva, a volte si innervosiva così tanto che non le si poteva avvicinare nessuno, neanche il mio amico.
Lëna faceva questo da 15 anni e non riusciva a uscirne. Geko non la voleva vedere così e se discutevano era quando cercava di non farla usare in quel modo, arrivò ad evitare di perdere la sua abitudine per non farle venire voglia, però lei ci ricadeva iniettandosi spesso la coca. Spesso capitava che stesse per morire e Geko era sempre lì pronto ad aiutarla, aiutandola a stare in piedi o mettendole dell’acqua fresca sui polsi e sulla fronte. Questo capitava le rare volte che invitavano qualche amico di lei che le offrisse.
A questo Geko non piaceva, cercava di capire il suo stato d’animo e l’aiutava come poteva. Lei gli raccontava tutto di quel mondo, di quel lato della droga che lui non aveva mai vissuto in prima persona, io non credo lo potesse comprendere del tutto e nemmeno io che me ne stavo a guardare dall’alto di un mobile insieme a Ninja queste scene di stupidità umana. Non sapevo ancora che il mio amico Geko più avanti col tempo ebbe prova di capire alla perfezione lo stato di Lëna, del suo malessere che si era presto trasformato anche nel suo, che subiva impotente.
Quando lui era via lei faceva le faccende di casa, gli preparava la pappa per quando sarebbe tornato, badava a noi e poi si premiava andando a prendersi un pezzo. Il tempo passava e le cose erano uno strano equilibrio fintanto che avevano soldi, lei provò pure a tenersi un lavoro che però non la faceva sentire appagata e lo mollò dopo qualche mese. Lei era un’artista, disegnava per lo più ad acquarello tanto e Geko faceva dei suoi disegni dei quadri che appendeva alle pareti della casa. Tutte le persone che conoscevano quella ragazza la adoravano, Geko la elogiava e tentava di farle emergere il potenziale. Condividevano la passione per la musica psichedelica e il disegno ma tutto questo non bastava.
Geko ogni tanto demoralizzato si rifugiava con lei nella marpa, ma in assenza di quella lei chiedeva aiuto al Sert da diversi anni e usava il metadone, distruggendo ancora di più il bel fisico che aveva. Geko se stava male veniva convinto a berne un sorso per riuscire ad andare a lavorare senza la tipica astinenza da oppiacei, che oramai cominciava a farsi sentire. Lei lo faceva con generosità e gentilezza togliendoselo dalla sua dose giornaliera, ma capitavano giorni che dovevano comprarne un po’ in giro, da quelli che chiamavano spaccini. Perché si, in quel periodo ci andavano giù pesante con tutto, fu un fatto orribile a far cedere alle sostanze più svariate entrambi: mia sorella Ninja curiosa com’era scappò dal terrazzo per esplorare l’esterno e venne investita da un’auto, così disse il mio amico che dopo quel fatto non si riprese più. Poi però lui ritornava con un po’ di lucidità (spesso dopo una giornata in cui lei rischiava l’OD) e le provava tutte per aiutarla.
Arrivarono anche a litigare e alzarsi la voce una volta, ma io sentivo che si amavano molto.
Partecipava alle riunioni con il Sert, la accompagnava a trovare il padre e la madre e tutti erano contenti di come lui faceva sentire lei, così un giorno le propose di provare a fare un percorso per disintossicarsi in una comunità. Intanto le solite amicizie si erano allontanate per i pregiudizi che la relazione con Miss. Brown (così chiamata dai più) lo avessero portato sulla “cattiva” strada delle pere. Lui però si ripulì di colpo e lei spesso gli diceva: “tu sei un tossico anomalo e mai visto”, Geko rideva spavaldo e annuiva, non si sarebbe mai fatto tirar dentro dalle spade e dalla comunità.
Così in un freddo gennaio passarono l’ultima notte insieme e come era entrata nelle nostre vite lasciò la nostra casa e si impegnò per ripulirsi.
Passarono più di due anni prima che i due si rivedessero, lei era bella più che mai, pulita e con la voglia di vivere, chiese al mio amico se poteva venire a trovarmi e salutarmi a casa e così la salutai come se il tempo non fosse mai trascorso, ma Geko invece aveva usato il tempo per percorrere gli stessi passi del suo grande amore, trovando solo il vuoto nel cuore e la disperazione di aver sgretolato tutto ciò che si era costruito nella vita.
4 – Samsara e Bast
Geko si era trovato un buon lavoro lontano da casa e per la maggior parte del tempo era in fabbrica come turnista, ma poi ci fu una pandemia nel mondo degli umani, i quali i molti furono costretti nelle loro abitazioni. Eravamo rimasti io e lui, io rimanevo fedele al mio umano e lui alle promesse di Lëna, ma poi qualcosa in lui cambiò. Percepiva la sofferenza di Lëna nel difficile percorso che aveva scelto, la conferma gli arrivò quando una ragazza lo contattò; era la compagna di stanza di Lëna che avendo finito il percorso lo voleva aggiornare per conto di lei. Venne a casa nostra e disse che lei era molto presa e motivata, ma con uno sguardo strano negli occhi comunicò che allo stesso modo era presa di un ragazzo avanti nel percorso, che passavano tanto tempo assieme e la stava aiutando. Geko da quel discorso capì molto, cosa doveva fare per il suo e il nostro bene.
Neanche farlo apposta il destino lo indirizzò e le sue decisioni quasi pilotate da questo e tempo dopo gli scrisse una persona per un “aiuto“. Geko aveva una certa fama nella zona se si trattava di sostanze e conosceva così tante persone che spesso si dimenticava persino di quelle che aveva chiamato alle serate in cui faceva festini a casa. Gli scrisse una ragazza di nome Samsara ma ancora non si capacitava di non ricordare che era stata a casa sua anni fa una ragazza così bella, non sapeva nulla di lei. Ma lei gli chiese se riusciva a combinarle della marpa e lui un po’ per curiosità un po’ perché era il suo carattere andò fin a casa sua, che si trovava a metà strada per tornare a casa dal lavoro, a portargliela. Lei in tutta sorpresa – cosa che nell’ambiente non si usa mai fare con chi non conosci – gli chiese se poteva pagarlo quando le sarebbero arrivati dei soldi. In tutta risposta il mio amico lasciò perdere la sua richiesta, gli diede la busta e la invitò a fumare una canna assieme nella sua automobile, così ricollegarono insieme quella pazza serata e si stupì dei vizi di una così giovane e carina creatura che il fato gli aveva mandato contro, prima come una leggera brezza ignaro che si sarebbe trasformata in un vero e proprio tornado di situazioni e emozioni.
In quel periodo il suo amico Lao, che gli era sempre stato vicino, trovava spesso il modo di passare a trovare Geko. Lui gli parlò di questa ragazza e nella sua saggezza sapeva sempre dare buoni consigli al mio amico, farlo ragionare spesso quando le droghe gli offuscavano la mente sulle decisioni importanti in molti periodi della vita. Lao gli disse che non poteva vivere aspettando una persona, vivere in base a Lëna, ma di buttarsi nel conoscere nuove persone e pensare a riempire quel vuoto che aveva creato la sostanza, perché comunque aveva imparato a usarla di rado, ma era un vivere nel limbo e Geko se ne rendeva conto.
Non ricordo bene quando Samsara iniziò a vivere in quell’appartamento, Geko era fatto così: se poteva aiutare qualcuno lo faceva senza troppo pensarci o pretesa alcuna.
Samsara portò poche cose con sé, condividevano oltre l’interesse per le barchette di stagno anche la musica elettronica e le feste autogestite.
Lei era una ragazza coi capelli mori fino a metà schiena e gli occhi colore del ghiaccio aveva la passione per i tatuaggi e ne aveva tanti, quello che colpiva di più era un bellissimo gatto tatuato su tutta la coscia, in ricordo di un suo piccolo amico che aveva perso in circostanze tristi, condivideva anche un braccio completamente nero come aveva il mio amico e molti altri di simbologia simile. Aveva gambe snelle e lunghe e anche se di poco più alta di Geko sembravano fatti l’uno per l’altra.
Samsara aveva da poco perso il padre e i rapporti con la madre e il fratello erano insostenibili, diceva al mio amico nelle lunghe ore che passavano a drogarsi e conoscersi.
Quando Geko si cominciò a prendere di Samsara e dei suoi racconti, della sua essenza ed energia spirituale le aprì le porte di casa e un po’ del suo cuore che cominciava ad essere riempito da lei. Così quando andò a prendere le sue cose porto con sé in appartamento la sua micia di nome Bast.
Bast era una vera e propria dea ai miei occhi, era più giovane di me e questo fece scattare in me un senso di ritorno a quell’età, ritornando anche io un giocherellone.
Anche Geko si innamorò presto di quell’esemplare di siamesina e fu contento per me e io per lui, stavamo ritornando ad avere una famiglia pensammo.
Io, come i più vicini a Geko, però sapevamo chi aveva ancora in testa e anche se non dava a vederlo e si dedicava tutto il tempo a Samsara e Bast, non facendole mancare nulla, in cuor suo sapeva che questo non bastava e prima o poi doveva fare i conti con quello che aveva lasciato in sospeso. Poi iniziarono gli atteggiamenti maniacali di Samsara, che oltre a non apprezzare sempre l’ospitalità e l’amore umano aveva frasi e uscite di paranoia e gelosia morbosa, non solo, non si faceva bastare mai nulla e ad ogni sforzo di Geko per renderla felice e fiera di lui, non perdeva occasione per pretese e maltrattamenti, cose che facevano male a Geko.
Raccontandole con difficoltà il suo passato lei spesso lo usava per ferirlo con frasi taglienti per toccare le ferite ancora aperte.
Intanto quella pandemia che aveva bloccato il mondo finì di punto in bianco, com’era iniziata. Nonostante questo lui ormai aveva ripreso i vecchi ritmi spianati all’uso degli oppiacei più diversi, erano sempre fuori a qualsiasi ora. Geko aveva perso il lavoro perché non riusciva più a tenere il ritmo e voleva stare sempre al fianco della sua compagna. Scarrozzava in giro per la città lo spacciatore per le sue commissioni, un’alternativa tutta sua di lavoro per garantirgli una busta e Samsara andava con lui per farsi dare a parte la sua, con la bella presenza, ma riguardandosi bene a non mancare di rispetto al Geko, che rispondeva alla sua gelosia con la stessa moneta. Ma più droga per lui, sigarette e benzina pagata faceva comodo in quel periodo: era un vero e proprio lavoro h 24 e aveva anche la maggiorazione sul notturno. Lei era contenta di come gestivano le cose, in tutta sicurezza e incolumità.
Quando erano a casa me ne stavo sul mio mobile preferito e li sentivo fare l’amore, molto spesso per ore e più volte al giorno. Poi venivano chiamati dal Sig. Ernesto e via a “lavoro” senza perdere un attimo. Spesso tornavano a casa anche con qualche birra e bottiglia di vino, così si sbronzavano e facevano ancora l’amore, non l’avevo mai visto in calore come in quel periodo il mio amico e lei adorava tutto ciò. Io e la mia amica Bast giocherellavamo per la casa e anche a noi non mancava nulla, tanto meno le attenzioni dei nostri compagni “ninfomani”.
Ma Geko sapeva che quella situazione non poteva andare avanti per molto.
Prima che beccassero lo spaccino infatti si fermò e così fu costretto a iscriversi al Sert, era già stato male per l’astinenza tempo addietro, in maniera lieve, e sapeva che non poteva permettersi questo con tutto da mandare avanti.
Ovviamente la cosa per Samsara era diversa e continuava grazie al reddito di cittadinanza a combinarsi le buste, offrendone un po’ a Geko quando non era incazzata con lui.
5 – Saxsa un amore tossico
Solitamente le persone dicono di ricordarsi le date importanti in cui hanno compiuto qualcosa di significativo per loro, ma Geko no.
Era arrivato a un punto in cui, così stremato da Samsara, dal dover tirare avanti e vedere di noi, che non ricorda con esattezza quando lui non riuscì più a reggere qualsiasi situazione, perché così fa l’eroina; ad un certo punto ti fa vedere solo di lei e il resto diventa nebbia. Ma io no, ero sempre al suo fianco, mi parlava più del solito in quel periodo, ma non ricordo quale fu esattamente il fattore scatenante. Fatto stava che mandò via di casa Samsara e tutto ciò che era legato a lei.
In quei giorni ebbe modo di incontrare un’amica di vecchia data che da tempo sperava di conoscere meglio, ma che il destino volle che fosse in quel periodo che Saxsa aveva bisogno di ospitalità. Anche lei non aveva il padre, ma era venuto a mancare quando era piccola, la madre stanca delle stronzate da junky che combinava l’aveva allontanata da casa e lo stesso valeva per il suo moroso. Geko e Saxsa diventarono subito molto amici dato che con la sua solita ospitalità la conquistò. Questa volta ammise che non era del tutto per altruismo che faceva ciò, ormai aveva l’anima nera lui, aveva bisogno di compagnia, di una persona con cui andare d’accordo che non avesse pretese e vedesse la vita come lui. Quella persona era lei, giovane e “pazzoide” con capelli lunghi color blu e occhi ancora più blu. Un piercing azzurro sulla fronte che le dava un tocco esotico ma allo stesso tempo di eleganza e armonia col suo bellissimo viso. Era signorina quanto cazzuta, alta e snella, molto slanciata, con fisico perfetto, così disse Geko più volte quando la vide senza vestiti. Non era una cosa maliziosa tra loro semplicemente si instaurò un bellissimo rapporto di amicizia in poco tempo. Lei aveva molte dipendenze, se avesse potuto si sarebbe fatta tutto ciò che c’era indicato sulle tabelle delle sostanze stupefacenti aggiornate dal Ministero della Salute. Saxsa però era spesso vivace e piacevole, simpatica e amante degli animali, quando non era spaccata mi facevo coccolare ore da lei, che passava le giornate con Geko a guardare la televisione e fumare hashish. Come vi stavo dicendo, il mio amico non si ricorda la prima volta che si fece bucare, forse perché non era così importante per lui. Io in quel periodo lo sentivo spesso parlare di spade e che non gli importava più niente, aveva perso la speranza nelle promesse di Lëna, nelle parole di Samsara e non gli importava forse più niente di vivere o morire, io però sapevo bene che non era così e che in tutti questi anni aveva sempre tenuto duro per garantirmi un posto dove vivere assieme, lasciare all’oscuro di tutto la sua mamma e il suo papà, il resto dei suoi familiari per non preoccuparli, come gli importava di far star bene le persone che aveva ospitato in casa e quelle che aveva conosciuto fuori.
Saxsa si faceva in vena già da diversi anni e aveva una certa manualità, ma il suo animo buono era combattuto dal far rischiare a Geko la stessa sorte: entrare in quel vortice. Ma lui sembrava non importarsene, stava vivendo le dinamiche che aveva osservato per anni da Lëna e le aveva apprese e fatte sue, per tirare avanti senza soldi, ma utilizzando droghe. Per un bel po’ di tempo Geko e Saxsa fecero viaggi astrali iniettandosi intramuscolo la ketch, un antidolorifico psichedelico usato anche dai nostri dottori per anestetizzarci; uscivano da casa solo per andare al Sert per l’assunzione giornaliera della terapia, il metadone, ormai necessario nella loro vita come l’acqua per i pesci in un acquario. Ogni tanto tornavano a casa molto felici e allucinati da quello che chiamavano LSD o avvolte DMT sostanze che il mio amico aveva sempre usato con una certa attenzione e consapevolezza. Ogni tanto rincasavano un po’ più tristi e allora Geko pregava Saxsa di fargli una pera di metadone. Acconsentiva a malincuore e poi si faceva anche lei. Non avevano entrate ed erano in caduta libera, ma io capii che ormai ci aveva preso gusto a iniettarsi la terapia, non era più una questione di soldi.
Tornava soddisfatto in appartamento quando riusciva a rubare delle birre e il cibo per me, non mancava mai quello, spesso si toglieva da mangiare per darlo a me. Lei tornava contenta a casa quando riusciva a farsi dare qualche sostanza a gratis come lui, del resto erano sempre assieme ed era stato sempre generoso con tutti in città.
Così se non era una sostanza era un’altra, si facevano come non ci fosse un domani, vivendo alla giornata.
Io vedendo oltre questo capivo che Saxsa aveva fatto un po’ rivivere Geko e provava un sentimento profondo per lei.
Dopo 7 anni da quel primo giorno in appartamento, il momento era arrivato.
Si spensero le luci.
Geko non riusciva più a mantenerlo.
Quando fu il momento di portarmi in una nuova casa ero spaventato e un po’ deluso, sapevo che non l’avrebbe mai voluto permetterlo, quella era la nostra tana.
Dopo essermi ambientato nella nuova dimora capii che Geko mi aveva portato in un posto sicuro, lo stesso dove lui era cresciuto da piccolo. Lui mi disse che era per il mio bene, poi mi resi conto.
Lui disse che stava andando in un struttura per disintossicarsi e che mi sarebbe tornato a prendere, me lo promise…
Scritto da Davide Gerometta