Primo maggio
La musica sbatte sui vetri pugni da mille watt.
Il Bologna Fashion Caffè è immerso nella musica anni 90.
Le casse pompano pressione pura, i volumi gonfiano il CFC come un palloncino che sta per esplodere.
Alla consolle stanotte c’è Gino Paloschi: orecchini, testa pelata, naso da pugile e denti d’oro. E’piegato su se stesso, un demone dentro le cuffie. Un demone arrivato dritto sparato dagli anni settanta, ex chitarrista dei Trauma, ex vocal dei Kontro, bassista dei Lokomotiv, ha masticato punk, rock demenziale, trash come chewingum e l’ha sputato in faccia al destino. Paloschi è Belmondo, che lui col cinema ha avuto a che fare, ha vissuto con registi e avanguardisti in quel maledetto 77 a Bologna. Si chiamava La Vareda la casa occupata in via Trivulzio. Il suo sito lo dice chiaro e tondo che Gino Paloschi ha prestato la faccia a Belmondo. Controfigura e riprese da lontano, ma sempre Belmondo.
Altri anni cazzo, anni di pere, carrarmati e fumogeni.
Ora Gino Paloschi è in consolle e le sue bombe le spara nelle casse del BFC, cannonate di anni 90 che sfondano i timpani, a beneficio di ragazzini che potrebbero essere suoi figli. La pista è un unico essere animato con migliaia di teste. Un essere che pulsa, si contorce, secerne vapore. Dalla sua postazione sembra l’ombra viva di un mostro viscido dai contorni irregolari che si muove a ritmo con le fiamme digitali del mixer.
Lui ondeggia insieme alla sua creatura. Stanotte sono la stessa cosa, la consolle è la testa del mostro, il suo cervello pulsante.
Il gioco di luci non è all’altezza, porca puttana. Tecnici di merda. Questi erano spermatozoi quando esplodeva la Dance, la musica elettronica che ha travolto i cervelli alla fine degli anni ottanta. Gino Paloschi sta facendo esplodere il BFC. Sta iniettando nelle vene del suo mostro, attraverso i fili elettrici incandescenti delle casse, la madre della Techno, della House, della Trance. Il locale è saturo, gonfio, pregno di elettronica. Il mostro non è sazio, ne vuole ancora, ancora, ancora.
“Sì cazzo!”
I denti d’oro del dj scintillano sotto il flash di un faretto rosso che non c’entra un cazzo con quell’atmosfera. Un faretto che bisognerebbe farlo ingoiare a quei coglioni dei tecnici delle luci.
E’ così che Paloschi vuole il suo mostro. Lo vuole bulimico di watt, ansimante di volume, in astinenza da elettronica, vuole vederlo contorcersi di dolore, supplicargli potenza. E lui gliela spara tutta: una pioggia di led luminosi si accendono ritmici.
“Sì porca puttana!”
Stanotte il mostro di Gino Paloschi deve crepare di overdose da decibel, deve scoppiare all’alba insieme a tutto il locale. Un botto unico di anni 90 che il ponte del Primo Maggio è appena cominciato.
Gino alza un braccio verso il bar senza smettere di ondeggiare all’unisono con la sua creatura. Le consumazioni al BFC sono gratis per il dj. Che di locali gestiti da pezzenti che ti offrono una birretta per la serata e il resto te lo tolgono dalla paga ne ha le palle piene. In questi anni ha suonato dovunque, ha conosciuto impresari, squali, palazzinari arricchiti, mafiosi che riciclano, starlette ammuffite nei privè, mancano solo i matrimoni e poi ha portato la sua cassa di dischi ovunque. Ma nelle notti come questa, con le sinapsi a mille, la coca che morde i pensieri, il fuoco dentro al mixer, ha la certezza di essere nato per la musica. Altro che stronzate! E se gli anni Novanta non ce l’hanno avuta una colonna sonora, allora Gino Paloschi è qui per questo. Gli dovrebbero fare un monumento questi stronzi che si muovono in pista. Ha mollato il rock duro, la SIAE, i palchi di legno polverosi, e i vinili da due lire per immolarsi. Per ricordare a tutti questi ragazzini del 2000, carichi di exctasy, di mdma, di cartoni, che vanno in giro firmati e griffati fino al buco del culo che anche i 90 hanno avuto una loro anima. Anche se nessuno se n’è accorto.
Dopo un paio di minuti arriva un ragazzo con un Mojito verde sepolto di ghiaccio. Il barista ha la maglietta dello staff e i capelli scolpiti in mezzo a un calco di gel. Avrà a malapena vent’anni. Si muove a scatti rapidi in mezzo al magma vivo, animato da Paloschi. Gli appoggia il bicchiere nell’unico spazio libero fra i cavi pulsanti e gli si accosta all’orecchio. Paloschi stacca uno dei due auricolari, zuppo di sudore.
“Se vuoi tirare un paio di botte vieni con me” e indica una porta di legno nero dietro al bancone, da dove entrano ed escono camerieri dello staff.
Poi aggiunge: “Offre Cinelli”
Pure la coca gli offrono al BFC.
Cinelli è il boss, socio di oltre venti locali, un imperatore della notte emiliana. Ha cinquant’anni come Paloschi. Ma lui veste giacca, cravatta e rolex, mica borchie, orecchini e denti d’oro. Si muove fra i suoi locali sparpagliati su tutta la riviera con una Ferrari nera. Una Ferrari nera e una gnocca da paura di fianco. Lui e Paloschi sono della stessa generazione ma sembrano venuti da galassie situate ai poli opposti dell’universo.
Che vada a fare in culo anche Cinelli. Che la coca è coca e non cambia niente se te la porta un freak di ritorno da Santo Domingo o te la offre un manager puttaniere che non ascolta neanche la tua musica.
Gino controlla che i led siano a posto, getta un’occhiata in basso verso la sua creatura tentacolare e si allontana con un ultimo scintillio rossastro del dente d’oro illuminato male.
“Quel faretto a fine serata glielo infilo nel culo”.
Gino abbandona la consolle. Passa attraverso la sua creatura che si apre docile come burro, senza smettere di contorcersi. Segue il ragazzo che gli cammina davanti. Scivola dentro la porta di legno nero e lucido.
Varcare la porta nera è come infilarsi nella sala motori del Titanic: gente sudata che macina ghiaccio, negri che asciugano i bicchieri, vapori di lavastoviglie, un paio di cameriere culone e sciatte che riempiono una distesa di piattini di vetro con olive, arachidi e patatine, e una puzza infernale di disinfettante, sudore e fritto.
La sua musica lì dentro filtra a malapena, è solo un ansimare asfittico che graffia il legno della porta di servizio.
Il ragazzino attraversa la cucina e si infila in uno stanzino attiguo. E’ uno spogliatoio di quattro metri quadrati con due panche e qualche armadietto metallico pieno di scritte e di adesivi, con un tavolinetto di vetro scuro al centro. Gino lo segue. Nessuno lo saluta, lui non saluta nessuno. I neri dicono qualcosa fra loro, parole che vengono vaporizzate dal soffio di un aspiratore appeso al soffitto.
Il ragazzino prepara rapido due piste di coca sul tavolinetto. Gino cerca di ascoltare i brandelli della sua creatura per assicurarsi che resti viva. Il barman gli indica una delle due strisce. Paloschi la fa scomparire dentro il naso destinato a restare immortale sulla faccia di Jean Paul Belmondo.
La porta nera si apre. Un tentacolo di Dance si insinua nella sala motori del Titanic, proprio mentre il ragazzino sta tirando la sua pista. Qualcuno taglia veloce la cucina fra l’indifferenza delle culone, dei negri e dei frantumatori di ghiaccio per mojtos.
“Giampy! Vieni che è successo un casino!”
La porta si richiude amputando il tentacolo della creatura di Gino. Il ragazzino scatta dal tavolo e si precipita verso la porta. Gino lo segue con uno stato di agitazione crescente. Ha avvertito delle anomalie nel respiro tentacolare del suo mostro.
La coca di Cinelli è veramente buona, mica le anfetamine del cazzo che gli tocca tirare per arrivare a mattina. Con questa botta è già mattina.
Qualunque sia l’anomalia ora è pronto a saltare in consolle e riprendere il governo del mostro. Porca puttana questo posto deve scoppiare!
Fuori dalle cucine il volume della musica gli arriva dritto come un pugno in faccia.
C’è qualcosa che non va.
La creatura si sta sciogliendo, risucchiata tutta in un punto del locale opposto alla sua postazione.
Vicino alla consolle ci sono due buttafuori enormi che si guardano attorno.
Non capisce. Salta dentro la consolle. Uno dei due buttafuori sta parlando ad un microfono attaccato all’auricolare: “Che cazzo devo fare? Faccio spegnere?”
Come spegnere? Sono appena le tre di mattino. La pista si sta svuotando inspiegabilmente. Un’emorragia di persone che cola verso i cessi del BFC. Stanno andando tutti là. Davanti ai bagni c’è un muro di buttafuori che spinge, minaccia, urla e si sbraccia.
Quello col microfono gli dice: “Abbassa di brutto”.
Gino Paloschi non capisce: “Come?”
L’energumeno avvicina il faccione verso quello del dj, ha un alito da drago caricato a cocktail e gin. Gli ringhia sulla faccia: “Abbassa quella cazzo di musica!”.
Le luci del CFC si accendono d’improvviso. La creatura di Paloschi è notturna, vive nella penombra. Gliel’hanno completamente disintegrata. Smette di pulsare, la contorsione si arresta. Qualcuno ha staccato le periferiche di alcune casse. Un uomo si sbraccia verso l’energumeno: “Spegni!”.
Paloschi schiaccia Off.
I timpani ci mettono qualche secondo a tararsi sui volumi del mondo reale.
Poi si sentono voci, urla, bestemmie, risate, fischi, pianti, bicchieri e una sirena. Una sirena che si avvicina.
I buttafuori aprono tutte le porte di sicurezza, spingono i maniglioni antipanico delle vetrate del CFC verso l’esterno, premono le persone fuori dal locale.
Anziché scoppiare, la discoteca si sta sgonfiando. Da ogni porta escono giovani a grappoli. “Cazzo succede?”, c’è un accenno di rissa davanti al guardaroba. Uno dello staff butta fuori un ragazzo completamente ubriaco che incespica e rotola nel parcheggio.
La voce si sparge nei gruppi che escono, un tam tam:
“C’è un morto in bagno” “Chi è?” “Non fanno entrare” “Merda..”.
Due volanti e un’ambulanza arrivano a distanza di pochi secondi, quasi in contemporanea davanti all’ingresso del CFC.
Gino Paloschi è ancora fermo col pollice sul tasto OFF del suo mixer.
Davanti a lui una sala vuota, illuminata a giorno, tagliata dai movimenti convulsi dello staff che si accalca davanti ai bagni, correnti di vento freddo generate dalle porte di sicurezza la spazzano.
Tre poliziotti e due infermieri entrano e tagliano la pista del Bologna Fashion Cafè in diagonale. I buttafuori, i camerieri e le ragazze del personale si spostano. Lasciano una corsia per farli passare.
La porta del bagno uomini è aperta, sfondata da un calcio.
Di fronte a Gino Paloschi, esattamente perpendicolare alla sua consolle, a circa trenta metri di distanza c’è il cadavere.
Un uomo seduto sul cesso, gli occhi chiusi e la bocca semi aperta in una smorfia di piacere. E’ vestito elegante, sui trent’anni, la tazza del cesso chiusa e lui seduto sopra, con i pantaloni perfettamente indossati e la cintura in pelle allacciata. Una giacca buttata per terra e la manica della camicia azzurra arrotolata sul braccio sinistro. Dall’avambraccio pende, come la banderillas sulla schiena del toro, una siringa ancora attaccata. Un piccolo rivolo di sangue scarlatto disegna un tatuaggio di serpente sul braccio.
Dalla tasca posteriore dei pantaloni una busta aperta con una lettera:
“Gentile Sig. Neri,
la ditta Gualtieri SNC le comunica che in data odierna ha scadenza il suo Contratto interinale presso la nostra azienda. La direzione del personale per motivi indipendenti dalle sue capacità professionali, si trova nell’impossibilità di rinnovare detto Contratto.
Cordiali saluti
Il Responsabile del Personale, dr. Cantoni
Bologna 30 Aprile 2023”
Scritto da Stefano Mellini