Storia di Chiara
Loretta osservava piena di orgoglio l’aula magna gremita di preadolescenti. Strano a dirsi, non si sentiva volare una mosca. L’attenzione dei giovani era completamente assorbita nell’ascolto di Giò, giovane rappresentante dell’associazione Alcolisti Anonimi che raccontava la sua brutta esperienza con gli alcolici. Per fortuna i suoi genitori si erano resi conto del pericolo che correva e con il supporto dei suoi insegnanti e dello psicologo scolastico lo avevano aiutato a venirne fuori. Ora Giò portava la sua esperienza nelle scuole superiori per convincere i ragazzi a non lasciarsi tentare dalla bottiglia. In quel momento stava snocciolando tutti i danni, fisici, psicologici e sociali che potevano derivare dall’assunzione smodata di alcolici. Anche Loretta ascoltava, avidamente, per cogliere al volo qualche spunto interessante, utile a continuare il discorso in classe. Si era fatta in quattro per progettare quell’incontro fra tutti i suoi alunni e l’associazione, consapevole che l’età dei suoi studenti era molto delicata e c’era il rischio che qualcuno di loro, per combattere la solitudine e le preoccupazioni o per mostrarsi più maturo di quanto in realtà era cominciasse ad abusare dell’alcol.
Giò era quasi alla fine del suo discorso. “Ricordatevi ragazzi, gli ubriaconi non sono persone divertenti come ce li dipingono in alcuni film; un alcolista si rovina la vita e la salute, distrugge tutti i rapporti intorno a sé compresi quelli coi familiari, è destinato a rimanere solo. Non è buffo, è soltanto imbarazzante e sgradevole. Non fatevi ingannare dalle pubblicità degli alcolici, vi mostrano un mondo spensierato e felice che in realtà nasconde falsità e pericoli. “
Con la coda dell’occhio Loretta colse dei movimenti alla sua sinistra e cercò con cautela di capire di cosa si trattava. Alcuni giovani guardavano in direzione di un libro ostentatamente aperto a nascondere il viso di Chiara, un’alunna di prima. I ragazzi si facevano dei cenni d’intesa e poi scuotevano la testa come a dire che no, Chiara proprio non capiva nulla. Loretta si avvicinò a Chiara senza dare nell’occhio e vide che, dal suo nascondiglio non troppo segreto la ragazza si esibiva in una serie di smorfie e gestacci indirizzati a Giò ed ai compagni. Quando finalmente si accorse di lei, invece di smetterla alzò gli occhi al cielo, mollò il libro sul banco, si mise a scuotere le braccia sibilando: “E basta con ‘sta storia!”
“Ne riparliamo in classe”.
“Bene, ci voleva anche il processo adesso. Imputata Chiara Maldini, alla sbarra!” continuò polemicamente la ragazza.
Loretta era basita; la giovane che aveva davanti non era la stessa che conosceva da qualche mese, solare, arguta e ipercritica verso qualsiasi argomento.
Lasciò in sospeso la cosa e si avvicinò a Giò che nel frattempo aveva terminato la conferenza. Lo ringraziò di cuore e lo salutò strappandogli la promessa di un altro incontro, mentre gli studenti applaudivano con calore: Giò era una di quelle persone che sapevano trovare le parole giuste per arrivare all’animo.
Tornati in classe Loretta chiese spiegazioni alla sua alunna ma ottenne soltanto risposte evasive: l’incontro era durato troppo, il relatore aveva continuato a ripetere le stesse cose, le dispiaceva aver perso la lezione di storia perché voleva approfondire alcuni argomenti per la verifica. Arrivò perfino a chiederle: “Ma lei, prof, non perde mai la pazienza? A me è capitato adesso, che posso farci?”
Niente, come cercare di sfondare un muro con la testa.
I compagni se ne stavano zitti ed era strano, proprio loro che erano abituati a discutere di tutto. Qualcuno faceva finta di niente e leggeva sul testo, altri si scambiavano cenni e ammiccamenti. Tutti sfuggivano lo sguardo di Loretta, come se avessero qualcosa da nascondere.
Visto che non se ne cavava un ragno dal buco lasciò perdere la discussione e si dedicò ad un breve ripasso degli ultimi argomenti di storia, in preparazione della verifica.
Chiara andò in bagno e Loretta approfittò di quel breve momento per chiedere: “Ragazzi, c’è qualcosa che dovrei sapere e non so?”. Le rispose un silenzio profondo che le fece intuire di aver centrato il problema. “Non dovete aver paura di essere giudicati come spie se confidate agli adulti i problemi di una compagna. In questo modo si può cercare di aiutarla. Invece stare zitti è un comportamento omertoso e i problemi possono soltanto aggravarsi. Pensateci bene e se avete qualcosa da dirmi, anche in privato, sono disponibile in qualsiasi momento”.
Il giorno dopo era programmata la verifica di storia. Chiara era assente. I compagni, interpellati, dissero di non saperne niente; molti di loro però tenevano gli occhi bassi per evitare il suo sguardo.
Alla fine delle lezioni Loretta raccolse le verifiche ed altro materiale e si avviò verso il parcheggio. Era molto pensierosa, sentiva che qualcosa non andava per il verso giusto ed era preoccupata per Chiara.
Aprì la portiera posteriore dell’auto e vi sistemò fogli e libri di testo. Proprio in quel momento sentì gridare il suo nome e si raddrizzò di scatto prendendosi una bella zuccata. Dall’altra parte della macchina stava Robertone, un ragazzo che nell’ultimo anno era cresciuto all’infinito in tutte le dimensioni e per questo si era guadagnato quel soprannome.
“Che c’è Robbi?” gli chiese massaggiandosi la nuca con cautela. “Vuoi farmi prendere un infarto? Hai dimenticato di darmi il compito?”
“No, no, son qui per Chiara. Sono giorni che ci penso. Ha ragione prof, non è giusto stare zitti. Chiara io la conosco dalla materna, abitiamo nella stessa via. Siamo sempre stati amici per la pelle, alle medie addirittura abbiamo avuto una storia. Le voglio bene davvero sa? Per lei mi butterei nel fuoco. Poi un paio di anni fa suo padre è finito in galera per una questione di droga, è ancora dentro. La mamma per mandare avanti la baracca ha iniziato a fare la badante e spesso la notte nemmeno torna a casa. Nelle ultime settimane Chiara è cambiata moltissimo. Prima noi della classe stavamo tutti insieme anche il pomeriggio; ci trovavamo per un giro in centro, per la pizza, per un gelato. Studiavamo insieme. Poi lei tramite la cugina ha fatto amicizia con alcuni ragazzi più grandi, si è addirittura messa con uno di loro. Da allora ci evita, ci prende in giro perché siamo piccoli e lei invece fa cose da grande: fuma, beve, sta fuori fino alle due o alle tre di notte. Si dà pose da donna vissuta. Ieri sera l’abbiamo incontrata dopo cena ed era già mezza ubriaca, continuava a ridere e diceva un mucchio di sciocchezze. Forse per questo stamattina non è venuta a scuola”.
“Grazie Robbi, hai fatto bene a dirmelo. Ti prometto che farò di tutto per aiutarla”.
Robbi fece un sorriso debole, più che altro una smorfia e quasi la supplicò: “Sì prof, la aiuti per favore! Lei è l’unica che può fare qualcosa.” e se ne andò a grandi passi verso casa.
Loretta si sedette al volante e chiuse gli occhi, immobile. Aveva bisogno di starsene un po’ chiusa nel suo guscio per meditare su quanto aveva appena saputo.
Viviamo ore e ore fianco a fianco ma questi ragazzi proprio non li conosciamo. Ci preoccupiamo soltanto di riempirli di nozioni. Non sappiamo nulla dei loro problemi, dei loro pensieri, delle loro emozioni. Come può sentirsi una ragazzina quando va a trovare il padre in galera? Avrà paura, la notte, quando la madre è al lavoro ed è sola?
Forse i suoi atteggiamenti ribelli sono una corazza per nascondere la sua insicurezza.
Cosa posso fare per lei? Bravo Robertone che me ne ha parlato, si vede che le vuole bene. Almeno può contare su un amico sincero.
Devo condividere tutto questo con i colleghi, insieme troveremo una strada. Da sola non posso fare nulla.
Si riscosse, mise in moto e se ne andò a casa.
Il giorno dopo c’era consiglio di classe con tutti i docenti. Loretta illustrò ai colleghi la situazione e chiese consiglio sul da farsi, fiduciosa che insieme avrebbero trovare un modo per togliere la ragazza dai guai. Le cose non andarono proprio come aveva sperato. Alcuni commenti addirittura la lasciarono basita e delusa.
“Eh no! Ma scusa, Loretta, cosa pensi che possiamo farci noi se beve nel tempo extra scolastico? Mica beve a scuola, o sì? Se non si preoccupa sua madre chi ci deve pensare? Non possiamo sobbarcarci i problemi del mondo mi pare. Dai, andiamo avanti con l’ordine del giorno”.
“Sì, io del padre lo sapevo, un bel tipo davvero. Questo dimostra che i frutti non cadono mai troppo lontano dagli alberi che li producono”.
A parte questi commenti allucinanti la maggioranza per fortuna si fece carico del problema, decidendo che bisognava informare la Dirigente Scolastica e la madre di Chiara e aumentare la vigilanza sui ragazzi per vedere come evolveva la situazione.
Bene. Alla fine, aveva raggiunto qualche risultato. Solo il fatto di aver condiviso questo peso la faceva sentire meglio. Quando fu a casa convocò la mamma di Chiara con una mail pregando in cuor suo che si presentasse all’incontro.
Il martedì la donna arrivò un po’ in ritardo. “Mi scusi, – si giustificò – l’anziana che seguo non voleva lasciarmi andare. Si è abituata alla mia presenza e vorrebbe che stessi con lei ogni minuto. Mi dica di Chiara; non mi aspettavo questa convocazione, è successo qualcosa che non va?”
Finchè lei parlava Loretta la osservava: era una bella donna, vestita con gusto anche se in modo molto semplice e non alla moda; il viso somigliava molto a quello della figlia ma lo sguardo malinconico lasciava trapelare la stanchezza di una vita difficile e un po’ di apprensione per sua figlia. Era ben consapevole che la loro situazione precaria la obbligava a lasciarle troppa libertà ma … che altro poteva fare?
Così le espose i fatti nel modo più gentile possibile, cercando di non farla sentire sotto accusa.
Man mano che raccontava però vedeva il suo volto cambiare e mettersi sulla difensiva, fino a che non la interruppe.
“No, guardi che lei su Chiara si sbaglia di grosso. E’ una ragazza più matura della sua età con tutto quello che ha, che abbiamo passato; non farebbe mai una sciocchezza del genere. Il suo ragazzo, Jacopo, le vuole un bene dell’anima e non la metterebbe mai in situazioni pericolose. Pensi che, dal momento che io mi devo spesso assentare la notte per fare assistenza ad una donna anziana e Chiara da sola ha paura, le ha regalato un cagnolino per farle coraggio e compagnia. Creda, ormai lo conosco bene; ha qualche anno più di lei ed è molto responsabile, quando è con lui mi fido ciecamente. E anche le assenze si possono spiegare: quando sono fuori, come le dicevo, lei ha paura e fa fatica ad addormentarsi così la mattina è stanca e la lascio dormire. Mi rendo conto che non la dovrei lasciare da sola di notte ma altrimenti non avrei da darle da mangiare. Sto cercando un nuovo lavoro che mi permetta di starle più vicino e allora tutto si sistemerà, vedrà. Non c’è da preoccuparsi”.
Finchè parlava Loretta osservava i diversi stati d’animo che si alternavano sul viso della donna: il fastidio per delle osservazioni ritenute ingiuste, la preoccupazione per la figlia, la fiducia riposta in Jacopo e tanta tristezza per una vita che era stata cattiva nei loro confronti, l’ombra fuggevole di un dubbio scacciato a forza. Non aveva nulla da contestarle perciò, seppure a malincuore, la congedò raccomandandole di seguire con attenzione Chiara.
Non poteva far di più ma non si sentiva l’animo in pace. Istintivamente non nutriva per Jacopo la stessa fiducia manifestata dalla mamma di Chiara: aveva notato nella ragazza un cambiamento troppo repentino per essere naturale e questo le aveva attivato mille campanelli di allarme, perciò nei giorni che seguirono si sforzò di osservare il comportamento della sua alunna senza farle troppe osservazioni. La vedeva allontanarsi ogni giorno di più dai suoi compagni: li trattava ostentatamente come se fossero dei lattanti, faceva spesso allusioni al fatto che lei sapeva divertirsi più e meglio di loro e il suo comportamento era causa di frequenti contrasti e malumori nella classe. Robertone in queste occasioni cercava di farla ragionare con pazienza ma finiva sempre zittito malamente, con un’aria da cane bastonato che faceva capire a tutti quanto lui tenesse alla sua compagna.
Loretta non riusciva a pensare ad altro nemmeno durante il fine settimana e anzi passava spesso il suo tempo libero a rimuginare in cerca di una soluzione; se usciva con gli amici apriva bocca raramente e pensava ad altro.
Un venerdì pomeriggio tardi, mentre era in coda col suo carrello alla cassa del supermercato, sentì uno scoppio di risa e riconobbe la voce di Chiara: la vide in fila poco davanti a lei, con un gruppetto di amici e Jacopo mentre infilavano in un sacchettone robusto bottiglie di birra, aperitivi e superalcolici, patatine e salatini. Agì d’istinto e lasciò il carrello per raggiungerla: stava già uscendo; la chiamò forte e Chiara si voltò, circondata dai suoi amici. Gli occhi mandavano lampi di rabbia: “Buonasera prof, vuole interrogarmi per caso? Possibile che non sia padrona nemmeno del mio tempo libero? Che cosa vuole? Lo sa che tormento mi dà mia madre da quando vi siete parlate?”
“Chiara, ti prego, non voglio farti del male; sono solo preoccupata per te. Hai la borsa piena di alcolici, quella roba ti può ammazzare. Per favore, ascoltami!”
“Sa cosa le dico? Mi lasci un po’ in pace una buona volta! Questi non sono proprio ca……..”
Non riuscì a terminare la frase. Jacopo l’aveva spinta da parte e ora fronteggiava Loretta, schiacciandola con la sua fisicità imponente. “Davvero, prof, non si deve preoccupare. Gli alcolici sono per i miei genitori che danno una festa. Hanno mandato me a prenderli perché sono maggiorenne e so quel che faccio. Chiara con me è in buone mani, mi prendo cura di lei come non fanno a scuola e nemmeno a casa. Mammina è contenta, l’ha sentito anche lei, credo. Perché non lascia che le sue alunne si divertano come vogliono nel tempo libero? E’ un loro diritto, non crede? E si faccia una birretta anche lei ogni tanto che magari si rilassa!”
Tutti i ragazzi scoppiarono a ridere alla battuta, poi si allontanarono. Dopo qualche passo la ragazza si voltò verso di lei e le fece ciao con la manina.
Loretta si sentiva veramente un’idiota; ma davvero aveva pensato di riuscire a convincerla in questo modo puerile? Umiliata, tornò dentro al negozio, recuperò il carrello scusandosi e si rimise in fila. Quando fu il suo turno, la cassiera la guardò con simpatia e alzò le spalle, come a dire che la capiva ma non poteva farci nulla se i giovani si imbottivano di porcherie fino a star male. Il suo compito era vendere. Questo la fece montare in bestia; era veramente possibile che degli adulti consapevoli assistessero all’autodistruzione di tanti giovani senza muovere un dito? Non disse niente perché sentiva che avrebbe certamente esagerato e il nodo che aveva in gola le avrebbe impedito di emettere suoni accettabili. Uscì dal negozio oppressa dal peso delle borse e da una sensazione di fallimento profonda, come educatrice e come persona.
Passò un fine settimana cupo, immersa in considerazioni che ondeggiavano fra l’autocommiserazione e la preoccupazione per le sorti del mondo futuro; come si poteva far capire ai giovani che l’alcol era pericoloso se tutto congiurava per ottenere il risultato opposto? Il dio denaro aveva sempre il sopravvento su tutto.
Al lunedì mattina si recò a lavorare stanca come se avesse sgobbato una vita in miniera.
Quel banco era vuoto!
A differenza delle altre volte, in cui i compagni di Chiara si erano limitati a borbottare qualcosa fra di loro, questa volta sembravano tutti eccitati: si erano riuniti intorno a Robbi che agitatissimo raccontava ciò che era accaduto poche sere prima. Quando lei entrò in classe, il ragazzo le disse subito: “Prof, Chiara sabato sera ha bevuto troppo ed è caduta in coma etilico. Ora è in rianimazione all’ospedale. Non sanno se ce la farà”.
Quelle parole le fecero l’effetto di una bomba; sentì le gambe che non la reggevano più e si sedette sulla prima sedia che trovò.
“Che è successo?”.
“Nel fine settimana i genitori di Jacopo non c’erano. Hanno comprato una barca nuova e volevano provarla con i loro amici così sono andati al mare. Jacopo ha approfittato della casa libera e sabato sera ha organizzato una festa con gli amici. C’era un mucchio di gente. Già nel pomeriggio hanno cominciato a bere alcolici di tutti i tipi: whiskey, vodka, birra, digestivi… e Chiara li ha bevuti tutti senza mangiare nulla, forse voleva far vedere che era capace di reggerli come i grandi . Un ragazzo che c’era mi ha detto che si vedeva molto bene che era ubriaca già da metà pomeriggio, barcollava, diceva scemenze, continuava a ridere e piangere insieme. Poi ad un tratto si è zittita, non parlava più, non rispondeva a chi le chiedeva come stava ed è caduta per terra, senza sensi. Alcuni ragazzi non se ne sono nemmeno accorti, tanto erano ubriachi anche loro ma Jacopo ed altri hanno cercato di rianimarla chiamandola, bagnandole la fronte, scuotendola. Niente da fare, non si è più ripresa. Dopo un bel po’ di tempo si sono decisi a chiamare un’ambulanza che l’ha portata via. Non so più niente, so solo che è all’ospedale in coma”.
Loretta osservò ben bene Roberto: aveva la faccia pesta a furia di piangere, gli occhi infossati; era disperato, l’immagine viva del dolore e dell’impotenza!
Altre compagne si misero a piangere, impressionate e dispiaciute.
Arrivò anche la Dirigente Scolastica che era stata avvisata dalla famiglia per metterla al corrente dell’accaduto; da lei venne a sapere che Jacopo aveva declinato tutte le responsabilità affermando che si era reso conto troppo tardi che la ragazza aveva un debole per gli alcolici e aveva più volte cercato di dissuaderla da tutte quelle bevute ma lei se n’era fregata ed aveva continuato a riempirsi il bicchiere, euforica.
Loretta non credeva alle sue orecchie: mandava giù amaro pensando alle parole beffarde che le aveva rivolto il ragazzo soltanto pochi giorni prima, al suo sguardo che la esaminava disgustato come se avesse davanti un insetto. E ora se ne lavava le mani! Povera Chiara, involontariamente era stata un giocattolo in quelle mani luride e ora si trovava in condizioni disperate! Si sentiva bruciare dentro per la rabbia e la vergogna di non aver potuto fare qualcosa di più.
Quella fu la mattina più brutta della sua vita. Consolare i ragazzi era impossibile, la ferita era troppo viva: tutti erano molto affezionati a Chiara anche se negli ultimi tempi si era allontanata da loro.
Accolse la campanella con un senso di liberazione e si precipitò in ospedale sperando di avere notizie. La sua alunna era in rianimazione; naturalmente non la fecero entrare ma la mamma uscì un attimo per prendere una bottiglietta d’acqua al distributore e così poté parlarle: Chiara era ancora in coma e non dava segno di miglioramento. I dottori non si esprimevano sulle possibilità di recupero, si limitavano a dire che bisognava aspettare. La donna era disperata, il viso sfigurato dal pianto e dalle ore di veglia.
“Se l’avessi ascoltata! – disse – Forse tutto sarebbe andato diversamente. Ho negato tutto anche se dentro di me sentivo un campanello d’allarme ma l’ho ignorato. Non ho saputo capire i segnali che la mia piccola mi mandava, credevo che fosse tutto normale, che stesse passando un periodo di ribellione, che la vicinanza di Jacopo poteva compensare la mia assenza. Non ho voluto capire perché avevamo un bisogno disperato di quei soldi per vivere. Sa, da quando il padre di Chiara è finito in carcere la nostra vita è stata un inferno. Facendo la badante solo di giorno guadagnavo appena da mangiare, non riuscivo a pagarle gli studi, qualche vestito nuovo, le poche distrazioni che mi chiedeva. Allora ho cominciato a farlo anche di notte perché prendevo qualcosa in più. Ora mi chiedo, ne valeva la pena?” Pronunciò quest’ultima frase come se fosse rivolta a sé stessa. Poi, col capo chino, ritornò nella stanza di sua figlia.
Chiara non si svegliò più. Durante la notte morì fra le braccia della madre.
Quando Loretta, anni dopo, ripensava a quel periodo lo riviveva come il peggior incubo della sua vita: il mazzo di fiori in classe, sul banco, e i ragazzi che cercavano di non guardarlo con la speranza che al suo posto, per miracolo o per magia, si materializzasse ancora la loro compagna facendo le smorfie; il sagrato della chiesa gremito di persone per un ultimo saluto, il giorno del funerale; quella piccola bara bianca coperta di fiori multicolori: era impossibile credere che Chiara, con le sue espressioni buffe e le sue risate dormisse per sempre lì dentro; i palloncini bianchi che volavano in aria, i giovani stretti uno all’altro, tutti con una maglietta bianca con la sua immagine felice davanti; il papà che non l’aveva nemmeno potuta salutare e ora, in permesso, piangeva come un bambino accarezzando la bara. E la mamma, una statua di sale senza più lacrime, l’ombra della donna piacente che era stata.
Loretta guardava la bara e si immaginava che Chiara da un momento all’altro sarebbe uscita e li avrebbe salutati con la mano come l’ultima volta che l’aveva vista. Già, quello era stato l’ultimo saluto ma lei ancora non lo sapeva.
Venne anche Giò e abbracciò i ragazzi uno ad uno, senza dire niente. Lui lo sapeva da tanto quanto era pericoloso l’alcol e quanto dolore poteva provocare, capiva il loro strazio. Stettero tutti vicini ad ascoltare le parole del parroco e di alcuni amici che salutavano Chiara per l’ultima volta.
Jacopo no, lui non c’era.
Scritto da Paola Lorenzetti