Le tuffatrici di Sakantis
Rimanere orfani è un’esperienza atroce. Ma rimanere orfani su Sakantis era
ancora più terrificante.
Soprattutto per una bambina.
In quel caso le possibilità erano due: vagare nel deserto in cerca di una morte
rapida e misericordiosa, o diventare una tuffatrice.
In entrambi i casi, non si tornava indietro.
– Si può sapere perché non è ancora atterrato? – Carter Rog camminava con
passo pesante, guardando a intervalli regolari i puntini luminosi della
clessidra-laser scivolare verso il basso – Avrebbe già dovuto essere qui.
– Arriverà – un ometto dal naso appuntito, con due proboscidi ai lati della
testa, rispose con tono pacato – Il radiofaro ha intercettato la sua nave prima
che entrasse nella nebulosa di fuoco. E’ solo un po’ in ritardo.
– E’ proprio questo che mi preoccupa: i delegati imperiali non sono mai in
ritardo.
– Datti una calmata, Carter. E smettila di fissare la clessidra.
– Non dirmi di calmarmi, Lurak – i movimenti del ragazzo divennero ancora
più frenetici – Le nostre casse sono vuote, l’Imperatore ci ha revocato la
linea di credito e abbiamo tre giorni per trovare 700 milioni, altrimenti Casa
Defoer è spacciata. Ah, dimenticavo: la nostra unica speranza doveva
atterrare più di un’ora fa, e non abbiamo la minima idea di che fine abbia
fatto.
Lurak sospirò.
– Adesso siediti.
– Non ho alcuna intenzione…
– Ho detto siediti! – la pelle dell’ometto divenne di un viola intenso e la sua
voce tuonò nella stanza come se arrivasse da tutte le direzioni.
Carter indietreggiò, lasciandosi cadere su un divanetto.
– Odio quando voi tritoniani cambiate colore. E la vostra voce, diventa
così… spiacevole.
– Sono millenni che le nostre famiglie governano questo posto. Dovresti
esserci abituato.
– Non credo che mi ci abituerò mai. Comunque, vista la situazione, questo è
l’ultimo dei miei pensieri.
– Rilassati. Il delegato Kristellar è uno che scommette forte. E perde ancora
più forte. Inoltre, ha un debole per le belle donne. Se non fai casini, in tre
giorni avremo tutti i crediti che ci servono.
Il brusio dell’oloproiettore fece sobbalzare entrambi. Un viso glabro e senza
lineamenti apparve a mezzaria, avvolto in un fascio luminoso.
– La nave del delegato Kristellar è entrata nell’atmosfera superficiale. A
breve atterrerà nello spazio-porto.
– Visto? – disse il tritoniano, ammonendo Carter con lo sguardo – Datti una
sistemata e va a riceverlo.
Una figura incappucciata, scortata da un droide protocollare, avanzava a
passo deciso nella tempesta di polvere sollevata dai propulsori
dell’astronave. La cappa oscurante celava gli occhi dell’uomo, di cui si
intravedeva solo la mascella cesellata.
– Delegato Kristellar, benvenuto. Il mio nome è Carter Rog. Sono
l’assistente personale del signor Defoer – il ragazzo fece un inchino,
cercando di trattenere i capelli rossastri che svolazzavano in tutte le
direzioni, ma il delegato gli sfilò accanto come se non esistesse – Delegato…
– si voltò per rincorrerlo – Il mio nome è …
– Carter Rog. Ho capito – disse l’uomo, proseguendo a passo sostenuto – Ma
i convenevoli dovranno attendere: sono entrato nella vostra atmosfera da
pochi minuti e ho la bocca così impastata che mi sembra di aver mangiato
sabbia per tutta la vita.
– Stia tranquillo: dentro l’anfiteatro è tutto un altro mondo- il ragazzo indicò
l’imponente costruzione che filtrava nella tempesta – La famiglia Defoer lo
ha fatto costruire in onore alle civiltà della Vecchia Terra.
– Impressionante – disse il delegato, fermandosi di colpo.
– E aspetti di vedere le tuffatrici – Carter sorrise compiaciuto, richiamando
l’attenzione di un gruppo di robot semiumanoidi – I nostri droidi di servizio
la scorteranno nelle sue stanze. Dopo che si sarà rinfrescato, il signor Defoer
sarà lieto di accoglierla nella sua tribuna privata – fece un inchino e
scomparve nella polvere.
Quando il delegato raggiunse il palco della famiglia Defoer insieme al suo
droide, ritrovò il ragazzo in compagnia di una bassa figura dal colorito
perlaceo e l’aria annoiata.
– Delegato Kristellar, mi permetta di presentarle Lurak Defoer, attuale
governatore di Sakantis e proprietario dell’omonima Casa scommesse.
Il tritoniano chinò il capo.
– Se è d’accordo non sprecherei tempo in inutili convenevoli: i tuffi stanno
per iniziare – invitò il delegato a seguirlo, ignorando lo sguardo di
rimprovero di Carter.
Sbucarono su un terrazzino di modeste dimensioni che però dominava tutto
l’anfiteatro. Gli spalti erano gremiti, e un boato assordante invitò il delegato
a sporgersi in avanti: al centro dell’arena, una voragine circolare fendeva la
terra come la gola di un mostruoso serpente, sputando fuori tentacoli di lava
che si ricorrevano in una danza frenetica, cercando di afferrare un massiccio
crostone di roccia che si librava nell’aria, quasi a sfidarli.
– Li chiamiamo la Rupe e il Pozzo – disse il ragazzo – Le tuffatrici devono
arrampicarsi sulla Rupe e lanciarsi nelle fauci del Pozzo.
– Ma… è un suicidio – balbettò il delegato.
Carter scosse la testa.
– Quando vedrà le tuffatrici capirà.
– E quell’affare… come fa a mantenersi in aria?
– La gravità dell’arena è soggetta a continue fluttuazioni di antimateria: se
l’anfiteatro non fosse dotato di stabilizzatori quantici, anche noi faremmo la
stessa fine.
– Adesso basta lezioni – sentenziò Lurak, avvicinandosi al parapetto –
Godiamoci i tuffi.
Una ragazzina dai capelli ricci e la pelle brunita entrò con passo fiero
nell’arena.
– Ma quella è una bambina – disse sorpreso il delegato.
– In effetti lo è. Questo è il suo primo salto.
Con un balzo la ragazzina si aggrappò alle sporgenze della Rupe e si
arrampicò fino in cima. Trasse un profondo respiro e poi sfrecciò in avanti
priva di peso, allargando le braccia per accogliere il vuoto; si avvitò su se
stessa, puntando dritta i rigurgiti di fuoco, e scartò verso l’esterno prima che
la travolgessero. Si adattò alla nuova traiettoria e scomparve all’interno del
cratere, avvolta dal silenzio dell’arena.
Un urlo lontano, seguito da scroscianti applausi, riaccolse l’esile figura
mentre riaffiorava dal terreno con una graziosa capriola, piroettando a
distanza di sicurezza dalla voragine.
Nonostante il cappuccio oscurante, il delegato non riuscì a nascondere il
proprio stupore.
– Sotto il cratere c’è una caverna di sacche gravitazionali – spiegò Carter –
Le tuffatrici devono stuzzicare la lava per liberarne l’accesso, stando attente
a non farsi prendere. Le sacche gravitazionali frenano la caduta, sputando
fuori le ragazze da uno sfiato laterale.
– E quella specie di costume?
– Quello è il char – rispose Lurak – Una speciale dermo-tuta che protegge gli
organi vitali delle tuffatrici durante il salto, altrimenti gli sbalzi
gravitazionali le ucciderebbero ancor prima di arrivare a terra. I veli
consentono di variare traiettoria e velocità di caduta in base alle reazioni del
Pozzo.
Il delegato non si era ancora ripreso quando la seconda tuffatrice entrò
nell’arena.
– Ma quella… sembra la copia esatta della ragazza di prima.
Carter annuì.
– Le tuffatrici risentono pesantemente dell’esposizione alle radiazioni della
lava.
– Radiazioni?
– Stia tranquillo, qui non arrivano – sia il ragazzo che Lurak risero – Alla
lunga la pelle delle ragazze viene ricoperta da un ulteriore strato epidermico,
che fa da barriera contro il calore. Per questo motivo le tuffatrici hanno tutte
la pelle bronzea e sembrano eterne bambine. Lo stesso succede ai capelli,
che tendono ad arricciarsi e ricoprirsi di riflessi dorati.
Anche la seconda ragazza si lanciò nel vuoto, ingaggiando un balletto aereo
con i tentacoli di lava, per poi essere fagocitata dall’oscurità del cratere e
ricomparire nella zona d’atterraggio, accolta dalle urla di giubilo del
pubblico.
– L’unico tratto che le distingue sono gli occhi – proseguì Carter,
applaudendo a sua volta – Per modificarne struttura e colore, le tuffatrici
dovrebbero tenerli costantemente aperti durante la caduta e rimanere vive
per almeno una cinquantina di salti. In quel caso si ritroverebbero due iridi
verdi come gli smeraldi di Giove e le pupille brillanti come una Nova che
esplode.
– Se proprio devi distrarre il delegato, almeno parla di scommesse – Lurak si
intromise con una punta di irrequietezza – Sa già che può puntare solo contro
le tuffatrici?
– Intende sulla loro morte – rispose con cinismo il delegato.
– Sulla mancata riuscita del tuffo – lo corresse Carter, evitando di incrociarne
lo sguardo – Basta un’imperfezione, anche minima, e lei vince.
– Adesso capisco perché le scegliete solo orfane – sottolineò l’ultima parola
con un riso amaro.
– Non credo che un delegato imperiale possa darci lezioni di civiltà – disse
il tritoniano, facendo impallidire Carter.
Il delegato non rispose, limitandosi a seguire in silenzio l’esibizione delle
successive tre ragazze.
– Adesso inizia la fase delicata – disse Carter, cercando di riportare il sereno
fra il governatore e il suo ospite, mentre la sesta tuffatrice guadagnava con
rapide movenze la cima della Rupe – Deve sapere che il comportamento del
Pozzo cambia durante i tuffi. E’ come se la sua brama aumentasse. Ed è per
questo che le ragazze più esperte saltano per ultime: qualche imperfezione
iniziale può essere perdonata; ma d’ora in avanti, la minima esitazione
significa morte.
Il cappuccio del delegato si mosse verso l’alto per seguire il volo della
ragazza: la lava schizzò verso di lei, dividendosi in due e poi ancora in
quattro; la ragazza riuscì a scansarsi, ma i veli del char presero fuoco,
facendola precipitare scomposta, mentre un muro insanguinato si levò
compatto, chiudendo l’accesso alla caverna. La giovane spalancò gli occhi
e tentò una doppia sterzata per confondere la melma, ma non c’era più nulla
da fare: un’ondata incandescente l’avvolse in un letale abbraccio, e una
coltre invisibile calò sull’arena risucchiando ogni suono.
I successivi tre salti vennero accompagnati solo da qualche timido applauso.
Tutto cambiò con l’ingresso dell’ultima tuffatrice.
– Se non sbaglio, lei dovrebbe essere la migliore – disse il delegato,
indicando la ragazza.
Lurak annuì.
– Kari è la migliore. Di sempre. Sessantotto salti e nessuna imperfezione.
Puntare contro di lei vuol dire fare un regalo alla Casa.
– Allora sto per fargliene uno bello grosso: punto cento milioni di crediti
contro di lei.
Carter e Lurak si guardarono increduli, mentre il delegato inseriva i codici
della transazione nel terminale del suo droide protocollare.
Il pubblico scandì il nome della tuffatrice, accompagnandone il vortice di
avvitamenti: la ragazza sembrava occupare più spazi contemporaneamente,
sgusciando nelle pieghe del vuoto come un bambino in una coperta di seta.
La lava era confusa, e in pochi istanti Kari s’immerse nel ventre della
caverna per poi ricomparire nella zona di atterraggio con la grazia di un fiore
che si abbandona ai raggi del sole.
– Non se la prenda – disse Lurak applaudendo – E’ difficile battere la
perfezione.
Il delegato non rispose, incantato da quella sinuosa apparizione e incurante
della perdita appena subita.
– Immagino che ci raggiungerà comunque al banchetto di fine gara – disse il
tritoniano con un sorriso malizioso.
– Kari ci sarà?
– Ma certo: è l’attrazione principale della serata.
Quando il delegato entrò nel salone, gli altri invitati erano tutti impegnati in
conversazioni animate fra loro, rendendo difficile muoversi tra la folla.
– Fossi in lei prenderei una boccata d’aria sul terrazzino di servizio – Carter
lo aveva raggiunto senza farsi notare – Nessuno lo usa, a parte una certa
tuffatrice dagli occhi di giada.
Il delegato lo guardò perplesso, ma poi ringraziò e proseguì verso l’esterno.
La notte di Sakantis era calda e priva di vento, illuminata solo dal chiarore
rosato delle Lune Gemelle.
– Una volta questo posto era conosciuto come il Monte degli Innamorati –
disse una voce gentile, insinuandosi alle sue spalle, incorniciata da due occhi
di smeraldo che lo studiavano incuriositi.
– Da quanto ho visto oggi, mi sembra un nome poco appropriato – rispose
l’uomo voltandosi.
– Prima era diverso: non c’erano anfiteatri, scommesse, o tuffatrici, ma solo
un grande vulcano, sull’orlo del quale le coppie di innamorati si
scambiavano promesse solenni – la voce della ragazza era calda e misurata
– All’epoca, il pianeta era conteso da due clan rivali, i Rog e i Defoer,
perennemente in guerra l’uno contro l’altro. Poi, la primogenita dei Rog e
l’erede al trono dei Defoer si innamorarono, e una notte, fuggirono insieme
per giurarsi amore eterno al cospetto del vulcano, convinti che in questo
modo lo spargimento di sangue sarebbe cessato – il delegato si avvicinò
senza interromperla – Per suggellare il patto avevano due anelli di
antimateria, ma un gruppo di soldati li sorprese prima che potessero
scambiarseli: nella colluttazione la ragazza venne colpita e scivolò nel
cratere; il ragazzo tentò di afferrarla, ma invano; quando l’anello toccò la
lava, implose, risucchiando il vulcano e tutti i presenti nel ventre del pianeta,
alterando per sempre la gravità circostante. Si dice che la Rupe e il Pozzo
racchiudano gli spiriti dei due innamorati, perennemente protesi l’uno verso
l’altro.
– Storia interessante – disse il delegato – E da come la racconta, sembra amare
molto questo posto.
– Più di ogni altra cosa.
– E sarebbe disposta a sacrificarsi per salvarlo? A rinunciare alla perfezione
per il bene di Sakantis e delle altre tuffatrici?
– Se sta cercando di influenzarmi, perde il suo tempo. Anzi, se tiene ai suoi
crediti, non punti mai più contro di me – la voce della ragazza si fece aspra
e pungente – Si goda il resto della serata, delegato.
Con un balzo scavalcò il parapetto e scomparve nel buio della notte.
Il giorno successivo fuggì rapido verso il tramonto: i tuffi erano iniziati, ma
nessuno aveva ancora visto il delegato.
– Spero che Kari non gli abbia fatto passare la voglia di scommettere – disse
il tritoniano a Carter, con tono indispettito.
– Nient’affatto – rispose una voce metallica alle loro spalle – Il delegato non
si sente troppo bene, ma ha effettuato comunque la sua puntata – il droide
protocollare si avvicinò al padrone di casa, mostrando le cifre lampeggianti
sul terminale di servizio – Duecento milioni. Sempre contro Kari. Spero non
ci siano problemi.
Lurak aprì e richiuse la bocca come un pesce in cerca d’ossigeno.
– Problemi? No, no. Anzi, dica al suo padrone di raggiungerci al banchetto,
nel caso si sentisse meglio.
– A tal riguardo il delegato avrebbe una richiesta: vuole che Kari, se
sopravvive, si unisca a lui per cena.
– Questo non è possibile – si affrettò a chiarire il tritoniano – La Casa deve
accontentare tutti i suoi ospiti. Non solo uno. Kari deve presenziare al
banchetto.
– In tal caso, il delegato non intende prolungare oltre il suo soggiorno.
Arrivederci.
– Non prendiamo decisioni affrettate – Carter scattò in avanti, frapponendosi
tra il droide e l’uscita – Facciamo così: lasciate a Kari il tempo di qualche
saluto e poi raggiungerà il delegato in tempo per cena.
Il droide soppesò la proposta.
– Accettabile… – fu l’unica cosa che riuscì a dire prima che un’ovazione
assordante lo interrompesse – A quanto pare la perfezione ha vinto di nuovo
– aggiunse poi, con una rapida occhiata al centro dell’arena, prima di
scomparire con la stessa discrezione con cui era arrivato.
Carter cercò di fare altrettanto, ma il tritoniano lo trattenne.
– Non avresti dovuto prendere una decisione simile senza il mio consenso.
– Se non lo avessi fatto, avresti anche potuto dire addio a Casa Defoer e tutto
il resto – cercò di liberarsi dalla stretta di Lurak, che però mantenne salda la
presa – Cos’altro c’è?
– Kari sembrava strana. Diversa.
– E’ solo una tua impressione. Il tuffo è stato perfetto. Come sempre – rispose
spazientito il ragazzo.
– Può darsi. Ma non voglio correre rischi. Vedi di riferirmi tutto quello che
succede a cena fra lei e Kristellar.
Il ragazzo fece un cenno di assenso e si divincolò in modo sgraziato,
affrettandosi verso l’uscita.
Quando Kari entro nelle stanze del delegato, lo trovò di spalle, affacciato
alla vetrata. Non disse nulla e si mise a tavola.
– Come sono andati i tuffi? – chiese l’uomo senza voltarsi.
– Abbiamo perso un’altra ragazza.
– Per questo è nervosa?
– E’ perché lei non mi piace. Odio i suoi modi, il suo atteggiamento, e tutto
ciò che rappresenta.
– Ossia?
– Lo sa bene. L’Impero si ricorda di Sakantis solo quando deve mandarci i
suoi funzionari a bere e scopare.
– Può darsi. Ma fingere sorrisi e stringere mani per compiacere il suo
padrone, non la rende tanto diversa.
– Io non ho padroni – un luccichio balenò negli occhi della ragazza – E lei
non sa nulla di me. Del mio passato. Della mia vita.
– Così come lei non sa nulla di me. Eppure non ha esitato a giudicarmi.
La ragazza non rispose e rimase in silenzio per il resto della cena.
– Ha pensato a quello che le ho chiesto ieri? – disse il delegato, mentre il
droide protocollare finiva di sparecchiare.
Il respiro di Kari si fece pesante.
– Finché esiste l’Impero, Sakantis non sarà mai libero. E nemmeno le
tuffatrici.
– Per questo glielo chiedo di nuovo: sarebbe disposta a sacrificare se stessa
per salvare il pianeta e le sue sorelle?
La ragazza sospirò e chiuse gli occhi.
– Sì.
– Bene. Allora deve sapere due cose – il delegato si tolse il cappuccio,
mostrando gli occhi color nocciola – La prima, è che il vero Kristellar è
imbavagliato su una stazione di rifornimento appena fuori dalla nebulosa di
fuoco, insieme al suo droide. Questo è un Mimic.
– Un che? – chiese Kari, spalancando gli occhi.
– Un replicante – disse l’androide ammiccando – Il migliore che esista.
– E la seconda?
– Domani punterò un miliardo di crediti contro di lei.
Il giorno seguente, Lurak convocò Carter, assicurandosi che nessun altro,
droide o essere vivente, potesse partecipare all’incontro.
– Allora? – chiese con un misto di ansia e preoccupazione.
– Abbiamo un problema – il ragazzo fissò il tritoniano negli occhi – Il
delegato punterà di nuovo contro Kari: un miliardo di crediti.
Lurak si bloccò e poi iniziò a ridere.
– Problema? Ma questo è un miracolo. Non capisci: potremmo ripianare i
debiti della Casa e rimpolpare le nostre finanze in colpo solo.
Carter scosse la testa.
– Non abbiamo abbastanza crediti per coprire la puntata. In queste
condizioni, il sistema non accetterà mai la scommessa.
La pelle del tritoniano divenne grigio cenere, con venature bianche
translucide.
– Allora siamo fottuti. Niente scommessa. Niente incasso – si accasciò su un
divanetto con la fronte tra le mani.
– Una soluzione ci sarebbe.
Lurak alzò gli occhi, come se stesse fissando un fantasma.
– L’Anfiteatro. Devi usarlo per coprire la puntata.
– Ma sei impazzito? Se qualcosa andasse storto, perderei tutto; comprese le
tuffatrici.
Se non lo fai, perderai comunque – disse il ragazzo incamminandosi verso il
tunnel di trasferimento.
– Carter – lo richiamò il tritoniano – C’è altro che devi dirmi?
Il ragazzo si morse le labbra.
– Se ti venisse offerta la possibilità di salvare tutto, Anfiteatro, Casa Defoer,
e tuffatrici, ma in cambio dovessi sacrificare la tua vita, lo faresti?
Lurak arricciò le labbra in una smorfia di disgusto.
– Se non posso averli io, allora può anche prenderseli il Pozzo.
Carter sospirò.
– Allora, direi che è tutto. Hai più o meno un’ora per decidere cosa fare.
Mentre il sole rosso di Sakantis si inabissava oltre la linea dell’orizzonte, la
sesta tuffatrice, al pari delle ragazze che l’avevano preceduta, concluse la
sua esibizione senza incidenti, ma Carter e Lurak erano più interessati
all’imprevista assenza del delegato che allo svolgersi dei tuffi.
– Ancora nulla? – chiese il padrone di casa, tracannando un calice di liquore.
Il ragazzo scosse la testa.
– Il personale non riesce a trovarlo da nessuna parte.
– Allora siamo fottuti. Ancora un salto e poi tocca a Kari.
– E perché siete così preoccupati?
Carter e Lurak sussultarono entrambi.
– Delegato. Fortunatamente sta bene – disse il ragazzo con sincero sollievo.
– Sto benissimo. Ma ho dovuto sbrigare alcune questioni urgenti.
– E il suo droide? – chiese il tritoniano.
– Prepara la partenza – poggiò sul tavolino una valigetta metallica e attivò la
serratura premendovi il palmo della mano – Perdonate la fretta, ma vedo che
tra poco toccherà a Kari, e il sistema continua a rifiutare la mia puntata.
– E quanto vorrebbe scommettere? – chiese il tritoniano con finta curiosità.
– Un miliardo di crediti.
Lurak ammutolì, pur conoscendo la risposta.
– Deve essere questo il problema – disse Carter – Per una tale somma, il
sistema richiede l’autorizzazione della Casa. Se vuole scusarci un secondo
– tirò Lurak in disparte – Cos’hai deciso? – chiese sottovoce.
Il delegato tossì debolmente, richiamando la loro attenzione sull’ingresso di
Kari.
– E va bene. Fallo. Garantisci la puntata con l’Anfiteatro.
Carter annuì e strisciò le dita su una tavoletta di foglio-vetro.
– Riprovi adesso – disse al delegato.
L’uomo tastò una serie di codici sul terminale della valigetta e poi sorrise.
– Giusto in tempo – disse indicando la cima della Rupe.
Kari saltò nel vuoto, diretta in picchiata verso il centro del cratere. La lava
s’innalzò compatta come un incudine di fuoco, ma la ragazza volteggiò su
scalini invisibili, aggirandola. La melma cambiò direzione senza rallentare;
Kari sfilò verso il basso, cercando di bucare l’artiglio incandescente che le
aveva tagliato la strada, ma fu costretta a frenare. Con una capriola a
mezz’aria guadagnò spazio, mentre schizzi di fuoco le accarezzarono la
schiena come un monito indelebile: i tentacoli erano sempre più vicini.
Scalciò l’aria per prendere velocità, sgusciando nell’unica ferita lasciata
aperta da quell’informe massa gorgogliante. La caverna era a pochi metri da
lei, profonda e sicura come il ventre materno, ma la ragazza dovette
rallentare di colpo, utilizzando tutti i veli del char: una lama di fuoco si era
materializzata al centro del Pozzo, occupando l’intera verticale di caduta.
Lurak corse al parapetto con le mani sulla testa.
Il contraccolpo della frenata spinse Kari verso l’alto, regalandole qualche
istante di calma: gli occhi verdi della ragazza scansionarono la muraglia
incandescente per trovare qualche crepa, ma non c’era più nulla da fare;
digrignò i denti, con gli smeraldi del suo viso fissi sul bersaglio, e invece di
rallentare si tuffò urlando in quell’abisso incandescente, scomparendo in
una nuvola di cenere.
Lurak era catatonico.
Il delegato si avvicinò al ragazzo, che sembrava altrettanto sconvolto.
– Mi aspetto che la vincita sia accreditata al più presto.
– Un momento – Carter faticava a parlare – La sua vincita. C’è qualcosa che
deve sapere.
Il delegato sospirò.
– D’accordo. Ci vediamo alla nave.
Il delegato si era appena abbassato il cappuccio, quando il ragazzo piombò
nella cabina con gli occhi insanguinati e uno strano dispositivo sulla bocca.
– Non erano questi gli accordi – la sua voce fece vibrare l’interno della nave,
imitando quella dei tritoniani, e costringendo il delegato a coprirsi le
orecchie – Doveva solo rovinare i Defoer e liberare le tuffatrici. Tutte!
Gli occhi di Carter si velarono di lacrime e il delegato ne approfittò per
attivare le protezioni auricolari, stringendo la gola del ragazzo prima che
potesse parlare di nuovo.
– Se apri ancora la bocca, giuro che ti lancio nel Pozzo insieme a quel
mostriciattolo di Defoer – allentò gradualmente la presa, assicurandosi che
il ragazzo avesse capito. Poi lo lasciò andare – Bene. Ora dimmi: la
scommessa è stata pagata?
Carter annuì, massaggiandosi il collo.
– Tutti i crediti sono stati trasferiti, così come la proprietà dell’Anfiteatro.
– Perfetto. Allora abbiamo entrambi ottenuto quello che volevamo. Io mi
prendo i crediti e tu Sakantis; fanne buon uso – il ragazzo scattò in avanti,
ma il delegato lo bloccò – La mia pazienza sta per esaurirsi. Fallo di nuovo
e sarò costretto a eliminarti.
– E allora lo faccia. Kari era tutto per me: l’ho accudita, protetta, amata. E
per cosa? Vederla bruciare come una tuffatrice qualsiasi? – Carter si accasciò
con le mani sul volto – Non è giusto. I Defoer, loro sì che meritavano questo
ed altro. Ma Kari, non aveva colpe, se non quella di essere rimasta orfana e
aver barattato un tuffo per la libertà di questo pianeta. Se fosse qui, la
penserebbe esattamente come me.
– E allora perché non glielo chiedi? – il delegato abbassò una leva sulla
plancia di comando e un portellone nascosto sotto il sedile scattò verso
l’alto: due occhi verdi, ricoperti di lacrime, emersero dall’ombra.
– Oh, Carter – la ragazza gettò le braccia al collo del ragazzo.
– Ma come… ti ho vista morire.
Kari scosse il capo, piangendo e ridendo allo stesso tempo.
– Non ero io, ma un Mimic.
– Un Mimic?
– Sì, un replicante.
– So bene cos’è un Mimic. Ma dovrebbero essere estinti: venivano
programmati apposta con un meccanismo degenerativo perché ritenuti
troppo pericolosi.
– Il ragazzo ha ragione – disse il delegato – Ma questo era prigioniero sulla
nave di Kristellar, ibernato in una camera di stasi da chissà quanto tempo;
quando l’ho liberato, il suo corpo ha iniziato a degenerarsi, ma una volta
sentito il mio piano, ha insistito per aiutarmi. L’unica cosa che voleva in
cambio era morire libero, come un uomo.
– Quindi, era lui nel Pozzo.
Kari annuì.
– Era identico a me. Si muoveva come me. Gli è bastato vedermi eseguire il
tuffo una sola volta per copiarlo alla perfezione.
– Ma c’era una problema – disse il delegato.
Kari assentì nuovamente.
– Dovevo riuscire a commettere un errore senza che il Pozzo mi prendesse,
altrimenti, il Mimic avrebbe replicato il tuffo senza sbavature e Defoer
avrebbe incassato la vincita, come al solito.
– E cosa avete fatto? – Carter si asciugò gli occhi.
– Assolutamente niente – disse il delegato – Il Pozzo inseguiva le
imperfezioni delle tuffatrici, ma imparava anche dalle proprie. Lo avete
sempre trattato come un oggetto e mai come un essere vivente. Il Mimic,
però, lo ha capito subito. Ha ripetuto il tuffo in maniera identica, confidando
nella capacità di adattarsi del Pozzo. Alla fine Defoer aveva ragione: è
difficile battere la perfezione.
Scritto da Marcello Finiguerra